Scozia, tempi nostri. Sarah (Weronika Rosati), aspirante fotografa, ed Albert (John-James Colvin), medico, vivono un matrimonio turbolento, lei è succube dei modi violenti di lui, non solo verbali, considerando che l’uomo, spesso ubriaco, le rinfaccia a piè sospinto di quanto dovrebbe essergli grata per la vita agiata che le ha garantito, affrancandola dalla schiavitù paterna. La donna, stanca dei tanti soprusi, dopo l’ennesima lite si confida con Max (Gianni Capaldi), suo amante: è propensa a vincere ogni paura e parlare una volta per tutte con Albert, così da lasciarlo definitivamente. Il giorno seguente Max, non ricevendo alcuna notizia da Sarah, preoccupato, si avvicina alla sua abitazione, notando come tutt’intorno siano presenti le auto della polizia: Albert è scivolato su di una macchia d’olio rimasta sul pavimento dopo la rottura di un piatto e, nel cadere all’indietro, ha sbattuto la testa sul termosifone, decedendo all’istante. Ora per i due amanti, adottando inizialmente qualche cautela per non destare pettegolezzi e inevitabili sospetti, la strada è sgombra da qualsiasi ostacolo, possono esternare liberamente il loro amore, anche se Sarah appare piuttosto risoluta nel voler preservare la propria libertà, memore del rapporto conflittuale col padre, basato sull’obbedienza assoluta, preferendo gli appuntamenti giornalieri alla convivenza, come Max confida ai propri genitori, Frank (Christopher Lambert) e Mara (Sarah Collier), con i quali avrebbe dovuto pranzare nell’occasione di una visita del fratello, evento del tutto passatogli dalla mente, preso com’è dalla relazione in corso. Un giorno Max, curiosando nella camera oscura a casa di Sarah, nota delle fotografie inquietanti, ritraenti topi morti e sezionati; ne parla col padre, secondo il quale quelle istantanee potrebbero probabilmente nascondere un lato oscuro…
Scritto e diretto dall’esordiente, nei lungometraggi, Alessandro Riccardi, adattando il suo romanzo Una voce dal buio, It’s Not Over, vincitore di 22 premi in vari festival internazionali (Miglior Thriller agli Oniros Film Awards di New York, al Montreal Independent Film Festival e al London New Wave Festival, tra gli altri), disponibile da qualche giorno su varie piattaforme, si sostanzia alla visione come un thriller psicologico piuttosto riuscito. Evidente, infatti, l’abilità di porre in scena un’atmosfera gradualmente inquietante, cui contribuisce poi la sinergica e funzionale combinazione tra fotografia (Roberto Lucarelli), montaggio (Viviana Vittigli), scenografia (Viviana Panfili) e colonna sonora (Sandro Di Stefano), che va a contornare il palcoscenico dell’ordinarietà quotidiana e familiare, dove la violenza più sordida e meschina si insinua subdola e strisciante, in tutta la sua evidenza (i modi brutali di Albert) o comunque sottintesa (i rapporti di Sarah col padre), volta a sopraffare la volontà altrui, fino ad annientarla nel nome di un’arbitraria egemonia dominatrice. Un più che valido lavoro di scrittura, ancor prima che di regia, comunque abbastanza incisiva ed attenta a rimarcare tanto le interpretazioni attoriali quanto ogni particolare ambientale, dissemina con sagacia determinati peculiarità inerenti la personalità di Sarah, ottimamente resa nella sua ambiguità caratteriale da Weronika Rosati, tra sorrisi aperti e toni umbratili. Evidenti, almeno riporto la mia primaria impressione, i riferimenti hitchcockiani nel gestire la condivisione con gli spettatori della deflagrazione improvvisa di un delitto inaspettato, tenendo alta l’asticella della suspense sulla base della constatazione se le persone coinvolte verranno a conoscenza o meno della verità e quindi se l’assassino riuscirà a farla franca o ne pagherà il fio, anche se credo che per molti appassionati di gialli, scrivente compreso, il finale potrà essere quantomeno intuibile.
Da segnalare, all’interno di un complessivamente valido cast, la presenza di Christopher Lambert, al quale ritengo si possa solo rimproverare uno scellerato intervento di plastica facciale, tale da renderne il volto simile ad una prugna secca, opinione del tutto personale e della cui esternazione chiedo venia ove possa apparire irrispettosa. It’s Not Over nel far confluire lungo l’iter narrativo anche qualche elemento sanamente horror, come in una sequenza dove vediamo delle coltellate susseguirsi rapidissime, ritmate dal commento sonoro, un po’, eccolo che ritorna, rimembrando la famosa scena della doccia nell’hitchockiano Psycho, 1960 (d’altra parte, per certi versi, il personaggio di Sarah potrebbe ricordare il Norman Bates lì interpretato da Anthony Perkins), riesce inoltre nell’intento di rendere del tutto normale, con qualche lieve tocco ben congegnato, anche il probabile intervento del soprannaturale all’interno della comune esistenza, tale da rendere le fondamenta del raziocinio umano non così solide, già minate nella loro fragilità dal tentare di mantenersi in difficoltoso equilibrio su quella sottile linea dell’inconscio che a sua volta delimita il labile confine tra paura e libertà, sempre sorprendendosi della potenziale doppiezza del proprio animo: “Dal peccato divise le due parti dell’essere, l’una e l’altra troveranno debita morte”, come recita una voce alla fine del film Il bacio della pantera (Cat’s People, Jacques Tourneur, 1942) traducendo i versi che appaiono in sovrimpressione prima dei titoli di coda, tratti da Holy Sonnets di John Donne.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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