Ivano Marescotti (Corriere di Bologna)

Per ricordare Ivano Marescotti, intenso interprete teatrale e attore cinematografico, caratterista principalmente, dall’indubbia versatilità, piuttosto disinvolto nel passare dal registro drammatico a quello comico, con quel volto così caratterizzato dallo sguardo severo e da una sorta di sorriso minaccioso, propenso al ghigno, che rendeva difficile intuire, a seconda delle sfumature profuse nel delineare il personaggio che si trovava ad interpretare, se fosse foriero di burrasca o lieta novella, ripubblico la recensione del film Bar Giuseppe, diretto da Giulio Base nel 2019, uno dei pochi titoli che lo hanno visto principale protagonista. Marescotti è morto ieri, domenica 26 marzo a Ravenna, ed era nato a Villanova, comune di Bagnacavallo, nel 1946: una volta conseguito il diploma al Liceo Artistico Nervi-Severini di Ravenna e trovato impiego all’ufficio urbanistica del Comune della cittadina romagnola, nell’intento di iscriversi all’università, nel 1981 decise di lasciare il lavoro per intraprendere l’attività teatrale, lavorando con, fra gli altri,  Leo de Berardinis, Mario Martone, Carlo Cecchi, Giampiero Solari, Giorgio Albertazzi, Marco Martinelli, esordendo poi al cinema nel 1989, una piccola parte nel film La cintura, diretto da Giuliana Gamba, anche se fu l’incontro con Silvio Soldini, che gli affidò il ruolo di Tobia ne L’aria serena dell’ovest a convincerlo a dedicarsi prevalentemente al grande schermo, andando ad interpretare più di cinquanta titoli, diretto da vari registi (Anthony Minghella, Ridley Scott,  Roberto Benigni, Marco Risi, Pupi Avati, Sandro Baldoni, Maurizio Nichetti, Carlo Mazzacurati, Antonello Grimaldi), riprendendo comunque presto l’attività teatrale, rivolta soprattutto al recupero del dialetto romagnolo nella rilettura delle opere di Dante ed Ariosto, partecipando poi anche a varie fiction televisive (ad esempio, Raccontami, 2006, Rai 1, due stagioni, 2006, 2008).

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Un qualunque paese di una qualsiasi remota provincia italiana, giorni nostri. Nel contorno indefinito proprio di quel momento in cui la notte non sembra ancora pronta a lasciar spazio alle prime luci del mattino, un uomo ed una donna si accingono ad intraprendere la consueta giornata lavorativa, aprendo il bar e l’annesso distributore di benzina. Ma la donna nell’alzare la saracinesca ha un mancamento e si accascia al suolo. Pochi istanti e Giuseppe (Ivano Marescotti), questo il nome dell’uomo, si ritrova improvvisamente solo a gestire le ambasce quotidiane: la sua prole, Nicola (Nicola Nocella), panettiere, sposato con due figli, e Luigi (Michele Morrone), sfaccendato perso fra criminalità e tossicodipendenza, insiste perché venda l’attività, d’altronde intestata alla defunta consorte; ormai è anziano e non può pensare certo di tirare avanti la baracca in solitaria. Giuseppe però, uomo tanto silenzioso quanto pragmatico, lavoratore instancabile (ha anche una falegnameria), non solo intende continuare, ma appare inoltre propenso a far sì che anche altri possano trarre vantaggio dalla prosecuzione, organizzando dei colloqui per rinvenire un valido aiuto. Fosse per lui li assumerebbe tutti, non vi è dignità ove non vi sia lavoro, ma alla fine la scelta cade su una coppia africana, marito e moglie, che si avvicenderanno nella gestione del locale insieme alla loro figlia adottiva, la diciottenne Bikira (Virginia Diop).

Ivano Marescotti (Gogo Magazine)

Dopo una serie di alterne vicende, tra la giovane donna e l’operoso uomo di poche parole andrà ad instaurarsi una certa affinità empatica, tanto che Bikira chiederà a Giuseppe di unirsi in matrimonio e lui, nonostante varie titubanze, acconsentirà, andando incontro ai commenti malevoli dei figli (Luigi in particolare avrà una reazione violenta), così come di quelli della gente del posto. Quella roccia di sottesa speranza ed affidamento alla vita di cui sembra essere costituito il buon Giuseppe sarà però prossima a sgretolarsi quando Bikira rivelerà di essere incinta: lui non l’ha mai neanche sfiorata e lei sostiene fra le lacrime di “non aver conosciuto uomo”…Presentato nella sezione Riflessi della 14ma Festa del Cinema di Roma, Bar Giuseppe, scritto e diretto da Giulio Base, ha dovuto necessariamente disertare l’uscita in sala causa l’emergenza sanitaria tuttora in corso, ovviandovi con la disponibilità, a partire dallo scorso 28 maggio, sulla piattaforma web RaiPlay. Scrivo fin da subito che la visione del film, pur notando qualche difetto che a mio avviso non inficia la bontà dell’opera (alcuni passaggi un po’ frettolosi e personaggi che avrebbero meritato maggiore incisività, meno sopra le righe, come il figlio Luigi reso da Morrone), ha suscitato in me un certo entusiasmo emozionale, in particolare per la riuscita attualizzazione di una storia d’accoglienza e d’amore come è certamente quella tra la giovane Myrhiàm e il falegname Yosef narrata nei Vangeli, avvertendo l’esigenza di riportarla appunto ai tempi nostri, dove non sempre i due termini trovano adeguata concretizzazione, risolvendosi spesso in una religiosità esibita e trasformata da novelli baciapile in puro e semplice richiamo pubblicitario a proprio uso e consumo.

Virginia Diop e Marescotti (RaiPlay)

Gott mit uns”, Dio è con noi, recitavano le fibbie delle cinture dei soldati del Reich, Hitler lo aveva arruolato; per fortuna disertò (Enzo Biagi), giusto per rimarcare l’andirivieni di corsi e ricorsi storici che attraversa sovente questo buffo mondo. Riprendendo a scrivere del film, ritengo Bar Giuseppe un’opera necessaria, sia per il sentore di profonda umanità che aleggia intorno la narrazione, attraversata anche da toni poetici,  sia per le suggestive modalità di ripresa, le quali alternano in rapida successione campi lunghi, piani sequenza e riprese frontali. Come già nel precedente Il banchiere anarchico, Giulio Base rivela una maggiore propensione a rendere suo il mezzo cinematografico, la volontà di “fare cinema per il cinema” congiunta alla necessità di dar luogo a più di una riflessione sullo stato attuale dell’odierna società. Ecco allora la macchina da presa che diviene anch’essa protagonista, incline a rendersi tutt’uno con i luoghi, i personaggi, le situazioni, creando un’atmosfera astratta, quasi sospesa (in sinergia con le scenografie di Isabella Angelini e la fotografia di Giuseppe Riccobene), ma del tutto concreta nel rendere i vari accadimenti all’interno di un simbolico microcosmo ancora attraversato da tocchi di ruralità, prediligendo le immagini, il loro intersecarsi, rispetto ai dialoghi.

(Cinematographe)

Mirabile l’interpretazione di Giuseppe ad opera di un misurato Ivano Marescotti, dove il silenzio, gli sguardi e i gesti valgono più di mille parole nel dare un senso ed una dimensione inedita alla quotidiana ritualità, fra risentimenti astiosi ed indifferenza, annientati però dall’operosità silente propria di chi sa adoperarsi per gli altri ancor prima che per se stesso, vedendo in loro, qualsiasi sia la loro condizione sociale od etnia, nient’altro che una proiezione di sé, ovvero, ricorrendo ancora una volta ai Vangeli, il proprio prossimo. D’altra parte, ricordando quanto il regista ha dichiarato nel corso della presentazione, il titolo del film, richiamando l’etimologia aramaica, sta a significare  anche Figlio di Giuseppe ed infatti lungo la narrazione, al di là dei pur presenti richiami evangelici di cui si è scritto nel corso dell’articolo, si staglia piuttosto nitida, pur lasciando spazio alla personale interpretazione della vicenda, la rappresentazione di una necessaria rinascita di Cristo, nella forma di un riconquistato senso di fratellanza, volto alla concreta attuazione di quel “Misericordia voglio e non sacrificio” invocato dal rabbi di Nazareth citando le Scritture. Visualizzazione che andrà a sublimarsi nella bellissima sequenza finale, la quale conferisce a Bar Giuseppe  l’indubbia valenza di una moderna parabola, densamente spirituale prima ancora che propriamente religiosa, l’abbraccio necessario tra mistero e corporalità terrena, un auspicabile punto d’incontro fra Cielo e Terra teso a conferire un possibile recupero dell’umanità smarrita.

(Rielaborazione del testo scritto per la trasmissione radiofonica Sunset Boulevard, da me ideata e condotta, Radio Gamma, 02/06/2020)

Podcast su zatteradelpensiero.it

3 risposte a “Ricordando Ivano Marescotti: Bar Giuseppe”

  1. Avatar Antonio Falcone
    Antonio Falcone

    L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.

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  2. […] alla mancata uscita in sala causa l’emergenza sanitaria tuttora in corso. Se i precedenti Bar Giuseppe (Giulio Base) e Magari (Ginevra Elkann) mi avevano favorevolmente colpito nel loro insieme, […]

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  3. […] regali (Francesco Amato). Aspromonte- La terra degli ultimi (Mimmo Calopresti). Bar Giuseppe (Giulio Base). La dea fortuna (Ferzan Ozpetek). Il delitto Mattarella (Aurelio Grimaldi). Favolacce […]

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