I tre moschettieri (The Three Musketeers – The Queen’s Diamonds, 1973)

(IMDb)

Francia, XVII secolo. Dalla natia Guascogna, erudito nell’arte della scherma dagli insegnamenti paterni, il giovane D’Artagnan (Michael York), in sella ad un cavallo dall’umile aspetto, al pari del cavaliere, sta per giungere nella città di Parigi. Ha con sé una lettera di presentazione firmata dal genitore, ex soldato, da consegnare al Signor de Tréville (Georges Wilson), capitano del Corpo dei Moschettieri al servizio del re Luigi XIII (Jean- Pierre Cassel), nelle cui fila il nostro aspirerebbe ad entrare. L’indole focosa da temerario scavezzacollo, pronto a sfoderare la spada a qualsivoglia accenno di offesa rivolto alla sua persona, lo porterà a scontrarsi nel corso del tragitto con un distinto signore dall’occhio destro bendato, che il guascone scoprirà essere il Conte di Rochefort (Christopher Lee), sgherro al servizio del Cardinale Richelieu (Charlton Heston), in coppia con l’enigmatica ed affascinante Milady De Winter (Faye Dunaway). Giunto in caserma, D’Artagnan avrà poi modo, con il suo fare maldestro, di solleticare la suscettibilità dei moschettieri Athos (Oliver Reed), Porthos (Frank Finlay) e Aramis (Richard Chamberlain), infatti prenderà appuntamento con ciascuno di loro, orario e posto differente, per sanare il dissidio a fil di lama. I tre sono amici di lunga data, per cui Porthos e Aramis si ritroveranno sul luogo designato per il primo regolamento di conti in qualità di secondi… tanto vale economizzare i tempi e procedere “tutti per uno e uno per tutti” nell’incrociare le loro spade con quella dello zoticone campagnolo, ma l’irruzione delle guardie del Cardinale, a ricordare come i duelli siano vietati, conferirà un aspetto inedito alla tenzone, visto che D’Artagnan si schiererà con i moschettieri nel suonarle di santa ragione ai militi dell’alto prelato.

Oliver Reed, Michael York, Richard Chamberlain, Frank Finlay (Wikipedia)

Sarà l’inizio di una schietta amicizia, che vedrà i tre affiancare l’indomito guascone, il quale nel frattempo ha iniziato una relazione con Costanza Bonacieux (Raquel Welch), moglie del suo padrone di casa e dama di compagnia della regina Anna d’Austria (Geraldine Chaplin), in un’impresa disperata, recuperare una colonna di diamanti elargita quale pegno d’amore dalla sovrana al suo amante, il duca di Buckingham (Simon Ward). Il re infatti, istigato da Richelieu, il quale ha ordito una sottile trama in combutta con Milady per screditare la regina, pretende che la consorte indossi il prezioso monile, un suo regalo, ad una imminente festa di corte… I tre moschettieri di Alexandre Dumas (padre), nasce come feuilleton pubblicato a puntate sul quotidiano parigino Siecle, dal 14 marzo al 14 luglio del 1844, Les trois mousquetaires, cui seguirono Vent’anni dopo (Vingt ans après,1845) e Il visconte di Bragelonne (Le Vicomte de Bragelonne, 1848-1850), avvincendo più di una generazione grazie ad un felice estro narrativo, volto a far uso della Storia sia in guisa di sfondo, sia per conferire valida patina di plausibilità ad ogni iperbole presente lungo il corso del racconto. Logico che il cinema provvedesse alla visualizzazione di pagine tanto ricche di ritmo, avventura, romanticismo, intrighi, facendone mano a mano uno dei romanzi più trasposti sul grande schermo. Si possono ricordare, tra gli altri, il cortometraggio del 1921 diretto da Mario Caserini o, nello stesso anno, la pellicola che vedeva nei panni dell’intrepido guascone Douglas Fairbanks, per la regia di Fred Niblo, anche se la mia memoria di cinefilo va subito all’elegante versione del 1948, per la regia di George Sidney, con, tra gli altri, Gene Kelly nel ruolo di D’ Artagnan e Lana Turner perfida e sensuale Milady, per poi unirsi a quella del fanciullino che ogni tanto riemerge nel rammentare il divertimento in sala, pargoletto di sei anni, con la trasposizione scanzonata, dissacrante, ma piuttosto fedele al testo originario, di Richard Lester, 1973, oggetto dell’articolo.

Christopher Lee e Charlton Eston (Turner Classic Movies)

Un’opera intrisa piacevolmente del gusto visivo proprio del cineasta statunitense, fumettistico e “sovversivo” nell’avallare una spettacolarità dai toni canzonatori ed un particolare ritmo narrativo, non sempre canonico, pensata originariamente, stando ad alcune fonti, perché fosse interpretata dai Beatles, già diretti da Lester (A Hard Day’s Night, 1964; Help!, 1965). La sceneggiatura venne realizzata dal giornalista e scrittore George MacDonald Fraser, il quale caratterizzò la narrazione dei toni smitizzanti propri di alcuni suoi lavori letterari a sfondo storico (Flashman, 1969, in particolare), dando spazio al divertissement puro e semplice, nel rispetto comunque, al pari di Dumas, di criteri quali verosimiglianza e caratteristiche peculiari dell’epoca storica di riferimento. Ecco allora un certo senso di realismo (le riprese si svolsero in Spagna, Madrid e Segovia), con la fotografia di David Watkin e il suo caratteristico uso della luce a conferire una dimensione pittorica alle inquadrature, oltre a restituire “la patina del tempo”, dalle strade sporche e polverose ai lustri della corte di Luigi XIII, fra oziosi passatempi (il gioco degli scacchi con dei cani in luogo delle usuali pedine), amori “proibiti” e oscure macchinazioni. Se scenografie (Brian Eatwell) e costumi (Yvonne Black, Ron Talsky) appaiono convincenti nella loro resa, lo sono ancora di più i vari duelli che, pur prevedendo un’accorta coreografia (William Hobbs), rifuggono dall’ostentata stilizzazione propria di certe produzioni hollywoodiane e nel loro incorrere vedono l’impiego non solo della spada, ma di qualsiasi oggetto possa essere d’ausilio nel frangente, fino a trasformarsi in vere e proprie zuffe, dagli esiti imprevedibili e forieri di sane risate (mirabile l’alterco scatenato dai quattro in una locanda, dove il ricorso alle lame servirà a rifornirsi di cibo gratuitamente).

Faye Dunaway (Cinema Essentials)

Concepito inizialmente per una durata di tre ore, il film venne poi ridimensionato in due lungometraggi dalla durata canonica, comportando nel corso dell’andamento narrativo l’attenuazione delle caratteristiche caratteriali proprie di alcuni personaggi. In considerazione di ciò, The Three Musketeers può allora considerarsi, nel rilievo precipuo offerto al personaggio di D’Artagnan, cui York conferisce sapida mescolanza tra spacconeria, giovanile baldanza, anche sessuale, ed ingenuità, un racconto di formazione, relativo all’evolversi della personalità del nostro una volta che si porrà a confronto con la malvagità e i machiavellismi perpetrati dal trio Richelieu- Milady- Rochefort, rispettivamente un sornione Heston, una meravigliosa Dunaway, aspetto angelico e fare demoniaco, un serpentino Lee. Avrà quale mentore il più anziano Athos, un Oliver Reed sublime nel rimarcare il disincanto proprio di chi ha già ben capito da tempo in che direzione il mondo intenda andare, affogando disillusioni e amarezze nel buon vino. Appena accennate, ma bastevoli ai fini della narrazione, le caratteristiche proprie del gaudente e forzuto Porthos, ma soprattutto quelle del pio Aramis, tra salmi e inclinazioni verso “il bene effimero della bellezza”. Divertente, e divertita, l’interpretazione offerta da Raquel Welch di Costanza Bonacieux, che darà vita nel finale a un particolare duello, anche qui con quello che si ha sottomano e si riveli funzionale alla bisogna, con la perfida Milady.

Michael York e Raquel Welch (4 Star Films)

Quest’ultimo personaggio troverà maggiore definizione nel riuscito seguito del 1974 (The Four Musketeers- The Revenge of Milady), se possibile ancora più scanzonato ed irriverente (il politicamente corretto era ancora al di là da venire, vedi gli epiteti esternati in apertura da Porthos, voce narrante, per definire l’indole della nobildonna), per quanto sia già evidente qualche slegatura qua e là, insieme a momenti di stanca, maggiormente avvertibili nella ripresa degli stilemi propri dell’accoppiata Lester-Fraser nel 1989, con The Return of the Musketeers. Il risultato finale è comunque quello di una più che godibile trilogia, meritevole di offrire concreta visualizzazione ad un senso dell’avventura puro e semplice, assecondando divertimento e realismo, fino ad essere in definitiva, almeno a parere dello scrivente, fedele allo spirito proprio di Dumas, per il quale la Storia non era altro  “che un chiodo al quale appendere le trame dei romanzi” , come ricorda Francesco Perfetti nell’introduzione a I tre moschettieri Vent’anni dopo (Grandi Tascabili Economici Newton, 1993).

Pubblicato su Diari di Cineclub N.115- Aprile 2023


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