C’avevo allora il negozietto da barbiere che mi aveva messo su mio fratello Giuseppe, ti ricordi? Rammento la prima volta che ti vidi: te volevo fà a barba! E tu ridesti … E quel sorriso suggellò il nostro amore. Poi sposi: questa casa fu mia, tutto mio. Ma in due eravamo in troppi e tu lo capisti, ah se lo capisti! Ti colpii qui, ti ricordi? Poi tu proponesti qualche cosa che io al momento non capii: Andiamo a fare una gita in montagna! Ma come in montagna? In montagna, andiamo in montagna! Andiamo in montagna. E infatti lassù, fra i canti, l’allegria, l’euforia e il grappin … Il crepaccio! Sparisti nel crepaccio! Ma come sparisti nel crepaccio? Perché? Ma chi t’ha data a’ spinta? Mah! Perché indagare …”
Il saluto mattutino, appena destatosi, rivolto dal “conte” Alfonso Pasti (Alberto Sordi) alla moglie Elvira, defunta, come ci tiene a precisare, la cui scomparsa in circostanze “misteriose” durante una gita in montagna gli ha permesso di entrare in possesso di una discreta fortuna, presto dilapidata fra vanagloria e sogni troppo grandi per essere gestiti in mancanza di qualsiasi oculatezza.
La scena è tratta dal film Arrivano i dollari!,’57, adattamento di un racconto di Fulvio Pazziloro ad opera di un nutrito gruppo di sceneggiatori (Giovanni Grimaldi, Ruggero Maccari, Giuseppe Mangione, Gigliola Falluto) e diretto da Mario Costa.
In realtà nel corso della narrazione, pur con un’attenta regia e più di una situazione divertente, finiscono per prevalere e costituire asse portante gli apporti individuali dei vari attori: dal tombeur des femmes Piero/Sergio Raimondi all’avaro Giuseppe/Nino Taranto, passando per lo sfaticato Cesaretto/Mario Riva intento a tormentare il geloso fratello Nicoletto/Riccardo Billi, ma in particolare dell’ Albertone nazionale, che fra grettezza e cinismo delinea il memorabile ritratto di un uomo meschino e opportunista.
Forte con i deboli (indimenticabile il rapporto col maggiordomo Giovanni/Turi Pandolfini, costretto ad indossare il collare del cane, magna e cocce de’ noci …) e debole con i forti, le caratteristiche del personaggio, man mano stemperate in una dimensione più circoscritta, delineeranno un ben preciso tipo d’italiano, sino ai giorni nostri, dove saranno necessari pochi adattamenti perché possa inserirsi in una dimensione più “moderna” e attuale.
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