
“A 12 anni mi hanno regalato una bicicletta per andare a scuola. Che io ricordi quella bicicletta è stata la cosa che più ho desiderato nella vita. Passavo le lezioni con la paura che fuori me la rubassero. Un’ansia senza fine, se avessi potuto l’avrei portata in classe con me, finché, un giorno, sono uscito e la bicicletta non c’era più.
E’ stata una liberazione”. Un pensiero, un ricordo, che come la luce di un faro nella notte in tempesta guida l’esistenza di Renato (Simone Liberati) nel solcare le onde tumultuose della quotidianità. Una brillante carriera di assicuratore in quel di Roma, pensioni integrative e polizze vita fatte firmare alla luce di disarmanti constatazioni esternate col sorriso sulle labbra, la convivenza con un padre non particolarmente anziano ma che sembra essersi pensionato anzitempo dopo la separazione dalla moglie, una relazione con Simona (Valeria Perri) tirata fin troppo per le lunghe, in attesa di un matrimonio che non avverrà mai, nella paura d’impegnarsi fino in fondo, in quanto ciò che può apportare felicità prima o poi è destinato a sfuggire al suo controllo e magari prendere altri lidi, come quella bicicletta donatagli in gioventù.

Un giorno però, ecco l’incontro casuale con l’affascinante Anna (Miriam Leone), che chiede al nostro informazioni per raggiungere la stazione, l’offerta di un passaggio in auto che si prolungherà fino alla sua abitazione, zona San Giovanni…Un caffè, il sesso quasi subitaneo, poi si vedrà se per “riconoscenza” o sincero slancio passionale, fino alla scoperta, dopo l’arrivo di un poliziotto (Antonio Milo) per il consueto controllo, che la misteriosa ragazza è agli arresti domiciliari per rapina a mano armata, aggravata e continuata, come specifica la madre (Anna Ferruzzo), giunta a casa subito dopo. Per Renato è il coronamento di un sogno: chiusa nell’abitazione, nessun contatto col mondo esterno a parte i permessi per dare gli esami all’università, Anna non potrà che essere esclusivamente sua, pur dovendo fare i conti con una spessa muraglia d’anaffettività.
Non ha però considerato il passato della fanciulla, che ritorna nelle vesti di Franco (Fabrizio Rongione), suo ex amante e complice, non rientrato in galera allo scadere del permesso premio…

Scritto e diretto da Emiliano Corapi, al suo secondo lungometraggio dopo Sulla strada di casa, 2011, L’amore a domicilio si palesa alla visione come una piacevole sorpresa nell’ambito del consueto genere della commedia italica, soprattutto per un interessante lavoro di scrittura volto a mettere in scena con modalità complessivamente intriganti una storia di ordinaria quotidianità, ovvero le complicazioni relazionali fra i due sessi aggiornate al nuovo millennio, ma sempre caratterizzate da tutta una serie di scosse telluriche, fra voglia di lasciarsi andare, mettersi a nudo nel proporsi essenzialmente così come si è, esternare le proprie modalità esistenziali nel confrontarsi al riguardo con l’altra persona, la quale a sua volta potrà porre le sue carte sul tavolo, optando o meno per un gioco aperto, livellando le proprie insicurezze con quelle altrui. Tanto l’Anna resa con realistica immedesimazione dalla brava ed ammaliante Miriam Leone, che sfodera l’originario accento siculo nel raffigurare una dark lady dal carattere umbratile, quanto il suo contraltare Renato, un ottimo Liberati nel permeare di naturalezza un titubante approccio alle potenziali gioie della vita, sono due esseri inclini a svezzarsi a vicenda, sentimentalmente parlando, dapprima inconsapevolmente o comunque nascondendolo a loro stessi in virtù delle loro idiosincrasie, passando da una conoscenza puramente sensoriale a qualcosa di più intimo e propriamente appagante nel suo possibile dispiegarsi a lungo termine, “quell’ amore che ti sveglia e ti fa fare cose che mai avresti pensato di fare”, impiegando le parole adoperate da Anna nello spiegare, interrogata ad un esame, il senso del famoso verso dantesco Amor c’ha nullo amato amar perdona (Verso 103, canto V, Inferno, Divina Commedia).

Forse la regia, pur nel lasciar spazio al succedersi degli accadimenti e conseguente loro dispiegamento avallando un’apparente estemporaneità, avrebbe potuto essere più incisiva, però è sempre piuttosto attenta a conferire alla narrazione una suggestiva contaminazione tra realismo e sospensione propria di una moderna favola urbana, intercalando ironia e dramma, avvalendosi inoltre del felice connubio tra la fotografia di Vladan Radovic, che dona ai vari quartieri della capitale una luminosità del tutto particolare, rarefatta, sospesa appunto, e la scenografia curata da Luisa Iemma, che riporta tutto nell’alveo giornaliero, vedi l’attenzione rivolta nel rimarcare gli appartamenti di Anna e Renato quasi come estranei alla loro personalità o comunque appena caratterizzati.
Da non sottovalutare, infine, la capacità di offrire rilevanza alla presentazione di situazioni (la sequenza iniziale, dal risveglio di Renato alla sua attività lavorativa, fino ai rapporti col prossimo e col genitore) e personaggi, anche a quelli in apparenza secondari ma in realtà del tutto primari nel conferire plausibilità e concretezza ai principali protagonisti, come il galleggiare esistenziale del padre di Renato, con l’arte culinaria quale panacea contro il mal di vivere, o il lasciarsi andare senza se e senza ma espresso dalla madre di Anna, la brava Ferruzzo, cogliendo dalla vita quel che da, così come viene, permeandosi del suo scomposto divenire, accettato nella sua totalità.

Andando a concludere, L’amore a domicilio può essere considerata un’opera onesta e sincera nel visualizzare timori e speranze propri di quel convulso sentimento chiamato amore, miscelando i generi ed offrendo più di una sorpresa lungo il cammino (la sequenza della rapina al Compro Oro, sulle note di C’est extra, Léo Ferré, 1969), confluendo verso un finale dove il romanticismo appare soffuso di una necessaria praticità nell’assecondare “le discese ardite e le risalite”* proprie di un’emozionalità convulsa e pavida qual è quella dell’essere umano moderno, in fondo timoroso di “appartenere” non solo a qualcuno ma principalmente a se stesso.
*Lucio Battisti-Mogol, Io vorrei…Non vorrei…Ma se vuoi…, 1972