E’ morto ieri, lunedì 31 maggio, a Roma, Peter del Monte, regista cinematografico statunitense, naturalizzato italiano (San Francisco, 1943). Autore di un cinema raffinato e poetico, sempre attento allo stato d’animo dei personaggi, alle loro psicologie, dove l’atmosfera “sospesa”, rarefatta, della messa in scena si rende un tutt’uno con l’irrazionalità e il mistero proprio dell’irrompere dei sentimenti, pose la propria sensibilità registica nel dare adito alle problematiche dell’universo femminile, ma anche a quelle proprie dell’infanzia e dell’adolescenza, così come della vecchiaia. Del Monte giunse nel nostro paese all’età di dieci anni, seguendo la propria famiglia, di origini italiane, ed una volta conseguita la laurea in Lettere (con una tesi sull’estetica cinematografica) iniziò l’attività di critico cinematografico, per poi diplomarsi in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia della Capitale, dove realizzò, nel 1969, il film Fuoricampo, che venne presentato al 22mo Festival di Cannes. Il vero e proprio debutto cinematografico avvenne però nel 1975, con Irene, Irene, a delineare quelle descritte caratterizzazioni intimiste ed introspettive che saranno una costante delle sue realizzazioni, del resto già presenti in alcuni suoi lavori per la RAI nei primi anni ’70 (Le parole a venire, 1970, dal racconto Les muets di Albert Camus, 1957; Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1973, dall’omonimo romanzo di Ugo Foscolo, 1802). Evidente quindi l’abbraccio volto ad un cinema del tutto personale, attento alla forma, a modalità espressive quasi sommesse, incline a scandagliare i meandri più reconditi dell’animo umano, lontano certo da logiche “mercantili” o volte comunque a cercare il facile consenso.
Infatti la sua seconda opera, L’altra donna, trovò realizzazione nel 1980, ricevendo una Menzione Speciale della Giuria alla 37ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed andando incontro a difficoltà distributive (venne trasmesso dalla RAI il 16 ottobre del 1982), probabilmente per il suo affrontare problematiche in anticipo sui tempi nel descrivere il rapporto/confronto, fonte di arricchimento reciproco, fra la ragazza etiope Regina (Fantu Mengasha) e la sua datrice di lavoro, Olga (Francesca De Sapio), agiata borghese separata dal marito e con una figlia. Seguirono titoli come Piso Pisello (1981), L’invitation au voyage (1983, tratto dal romanzo Moi Ma Soeur di Jean Bany), Giulia e Giulia (1987), primo film al mondo, di finzione, girato con un sistema analogico ad alta definizione (fotografia opera di Giuseppe Rotunno), Étoile (1989), Tracce di vita amorosa (1990), Compagna di viaggio (1996), considerato il lavoro più riuscito del regista, attenta ed acuta riflessione su vecchiaia e giovinezza, un confronto tra due rispettive emarginazioni, incentrato quest’ultimo sull’incontro fra l’anziano e svanito professore di Filosofia Cosimo (Michel Piccoli) e l’irrequieta, problematica, giovane Cora (Asia Argento). L’ultimo film girato da Del Monte è Nessuno mi pettina bene come il vento (2014), che fece seguito a Nelle tue mani (2007), Controvento (2000) e La ballata del lavavetri (1998, tratto dal romanzo Il polacco lavatore di vetri, Edoardo Albinati), sempre coerente espressione di un cinema raffinato indagatore di sentimenti e problematiche anche legate all’attualità, nella predilezione del non detto e di una raffinatezza formale mai fine a se stessa.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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