Vacanze di Natale (1983)

(IMDb)

Cortina d’Ampezzo, dicembre 1983. Una variegata umanità si riversa nella nota e rinomata località turistica in vista delle festività natalizie, come la facoltosa famiglia Covelli, costruttori edili, attesa dai domestici alle porte della loro villa: papà Giovanni (Riccardo Garrone), aria annoiata ancor prima che distaccata, l’altezzosa consorte (Rossella Como), i figli Diamante (Roberta Lerici) e Luca (Marco Urbinati), fanatico di sport, in compagnia della fidanzata Serenella (Antonella Interlenghi), cui si aggiungerà in un secondo momento Roberto (Christian De Sica), direttamente da New York insieme alla girl friend Samantha (Karina Huff). Vi è poi, elettrizzata per la super vacanza in un albergo a tre stelle, la famiglia Marchetti, agiati macellai romani: Arturo (Mario Brega) con la moglie Erminia (Rossana Di Lorenzo), la suocera Costanza (Franca Scagnetti) e il figlio Mario (Claudio Amendola). Come non notare ancora il pianista Billo (Jerry Calà), scanzonato e squattrinato tombeur de femmes e i coniugi Braghetti, Donatone (Guido Nicheli) ed Ivana (Stefania Sandrelli), col primo pronto ad ostentare status imprenditoriale di stampo meneghino e disponibilità finanziaria ma non certo un minimo gesto d’affetto verso la sua metà.

Karina Huff e Christian De Sica (Corriere)

I destini di questo variopinto “assortimento” umano andranno presto ad incrociarsi fra loro, vedi la salda amicizia tra Luca e Mario, nonostante la diversa estrazione sociale rimarcata dalla signora Covelli, uniti, fra l’altro, dalla fede calcistica per la “magica Roma”, oppure l’incontro fra Ivana e Billo, suo primo amore. Nel sopraggiungere dell’ultima notte dell’anno molte situazioni andranno a trovare soluzioni anche inedite, pur nei consueti canoni dell’ordinarietà quotidiana, nell’ondivago scuotersi di rinnovate aspettative esistenziali e vagheggiati mutamenti. Correva l’anno 1983 e i fratelli Vanzina, Carlo ed Enrico, il primo alla regia ed ambedue sceneggiatori, davano vita al capostipite di un filone che la critica andrà a definire “cinepanettone”, considerando l’uscita coincidente col periodo natalizio (ma vi è stato spazio anche per la versione balneare, l’altrettanto letale “cinecocomero”), purtroppo, mano a mano che il tempo passava, sempre più sfruttato in salsa becera e cialtrona, fra derive triviali ed escatologiche.

Jerry Calà e Nicheli (TV Sorrisi e Canzoni)

Questo Vacanze di Natale che potremmo definire primigenio conserva invece tuttora una certa genuinità propria di un cinema “sanamente” popolare, conclamata da un’allegra e coinvolgente spontaneità espressa da un cast particolarmente azzeccato, sia a livelli di protagonisti che di comprimari (Brega e Nicheli splendidi caratteristi), per quanto, almeno a parere di chi scrive, la coralità propriamente detta non sempre si rivela del tutto fluida nell’accostare le reazioni dei tanti personaggi alle varie situazioni che si verranno a creare e che andranno a susseguirsi in scena, offrendo per lo più la sensazione di una sorta di tableau vivant dialogati, puntando soprattutto sulla simpatia attoriale e con la musica, costituita dai brani di maggior successo del periodo, a far da raccordo fra una sequenza e l’altra, sulla scia di quanto avveniva in televisione nel coevo Drive-In, come fa notare Giacomo Manzoli in La rappresentazione degli anni Ottanta nel cinema italiano contemporaneo, all’interno del libro Anni Ottanta: quando tutto cominciò-Realtà. Immagini e immaginario di un decennio da ri-vedere (a cura di Paolo Mattera e Christian Uva, Rubbettino Editore, collana Cinema e Storia 2012).

Guido Nicheli e Stefania Sandrelli (Corriere del Ticino)

Carlo ed Enrico mettono dunque in scena, almeno nell’impostazione complessiva, un’operazione ricalco del precedente Sapore di mare: se quest’ultimo, giocando, in punta di cipria, sull’effetto “nostalgia canaglia”, si ispirava a titoli quali, ad esempio, Racconti d’estate (Gianni Franciolini, 1958), Vacanze di Natale vedeva come dichiarato antecedente Vacanze d’inverno (Camillo Mastrocinque, 1959), con più di un richiamo a papà Steno (nome d’arte di Stefano Vanzina) nell’esternare il buon proposito di coniugare la comicità propria della nostra commedia più popolare con la satira di costume. Se il citato genitore a volte riusciva però ad offrire qualche stilettata ben assestata, dai toni pungenti e amari, la prole tende ad agire blandamente in punta di fioretto, assecondando una satira all’acqua di rose, complessivamente efficace pur soffrendo di un certo schematismo contrappositivo fra classi sociali che sembra anticipare l’Italia berlusconiana.

Riccardo Garrone

Nella cornice del luogo turistico invernale italiano per antonomasia ecco allora rappresentato “il bel paese” edonista e spensierato degli “anni da bere”, dove i nuovi ricchi si aggrappano con le unghie e con i denti alle conquistate posizioni sociali, vedi il rancoroso ed ostentato “A Capodanno noi siamo dai Fürstenberg !”, esclamato con aristocratico cipiglio dalla signora Covelli nel rivolgersi alla famiglia Marchetti che aveva osato rivolgere un invito ad una partita a tressette o ad una tombolata tutti assieme, anche considerando l’amicizia fra i rispettivi figlioli. I macellai romani sono a loro volta simbolo di una arrembante piccola borghesia, i cui desiderati avanzamenti sociali vengono in essere dal potersi contornare, almeno fino a un certo livello, di tutto ciò che possa rappresentare benessere e sicurezza economica agli occhi della gente.

Rossana Di Lorenzo e Mario Brega

La descritta capacità d’osservazione, con conseguente visualizzazione, delle mutazioni in atto nella società italiana, in particolare a livello di costume, ritengo sia stata, anche nelle realizzazioni più becere e raffazzonate, uno dei pregi essenziali della cinematografia vanziniana, pur risolvendosi in una semplice esposizione, spesso compiaciuta e compiacente, degli italici vizi. Vi sono comunque alcune sequenze che considero efficaci nel descrivere come già al tempo il Natale andasse a contornarsi di un ritualismo costituito da un asfittico senso del dovere elargitivo, in primo luogo l’assalto ai doni nel salotto buono di villa Covelli, stile cavallette bibliche, con la macchina da presa ad inquadrare in campo/controcampo gli sguardi dei domestici, fra rammarico e compatimento. Una presa di distanza dalla portata più intima della festività, esemplificata dalla ormai celebre frase dell’avvocato Covelli, felicemente reso da un ottimo Garrone: “E anche questo Natale… Ce lo semo levato dalle palle!”.

Marco Urbinati e Claudio Amendola

Manifestazione poi dei mutamenti in atto anche nella sfera sessuale, nell’ottica di una fatidica libertà d’orientamento, offuscata quest’ultima dalle convenzioni sociali tutte “vizi privati e pubbliche virtù”, la scoperta dell’omosessualità di Roberto (anche se lui si proclama bisessuale) da parte dei genitori, per quanto la sequenza sia attraversata da una certa scurrilità, mitigata dall’ironia avallata dalle valide interpretazioni. Andando a concludere, Vacanze di Natale porta certo su di sé il peso non indifferente nell’essere stato un apripista legittimante alle triste derive che ne seguirono negli anni la scia, ma ritengo possa considerarsi, nei limiti descritti nel corso dell’articolo, un concreto esempio di cinema intuitivo, idoneo a conciliare leggerezza e riflessione, sbattendo in faccia agli spettatori, spesso e volentieri, gli stilemi, esasperatamente sguaiati, di una cafonaggine comportamentale non così distante, purtroppo, dalla realtà del vissuto giornaliero e destinata a perdurare negli anni.


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