Ricordando Carlo Lizzani nel centenario della nascita (1922-2022)

Carlo Lizzani (Bon Culture)

Ieri, domenica 3 aprile, è ricorso il centenario della nascita di Carlo Lizzani, che, fra le varie iniziative per la sua celebrazione, prevede un progetto speciale a cura del CSC – Cineteca Nazionale realizzato in collaborazione con Aamod (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico) e Casa del Cinema di Roma con il sostegno della Direzione Generale Cinema del MIC. Per ricordarne la figura riprendo, rivisto ed approfondito in vari particolari, un articolo scritto nell’ottobre del 2013, a pochi giorni dalla sua scomparsa. Personalità di particolare rilievo nel nostro panorama culturale, Lizzani si è rivelato nel corso degli anni un lucido intellettuale che ha offerto, attraverso le sue molteplici attività (critico cinematografico, sceneggiatore, regista) e le opere cui ha dato vita, un affresco del “secolo breve” piuttosto acuto e ben delineato nei tratti essenziali. Per sua stessa definizione, il cinema doveva considerarsi “un’arte di fatti e di uomini” ed infatti le sue opere traevano ispirazione formale dal primo Neorealismo, ma, nell’integrazione tra cronaca e denuncia, riuscivano a delineare una precisa storicizzazione, alla ricerca di una verità che fosse il più oggettiva possibile.

(Coming Soon)

Nato a Roma nel 1922, Lizzani iniziò intorno agli anni Quaranta a collaborare con varie riviste e quotidiani di cinema, per poi intraprendere l’attività di sceneggiatore (e attore) con Il sole sorge ancora (1946), regia di Aldo Vergano. Al riguardo sarà fondamentale l’incontro con Giuseppe De Santis, con il quale collaborerà per le sceneggiature di film come Caccia tragica,1947, Riso amaro, 1949 e Non c’è pace tra gli ulivi, 1950, senza dimenticare l’apporto relativo allo script e in qualità di aiuto regista per il capolavoro di Roberto Rossellini, Germania anno zero, ’48 (Pardo d’Oro al Festival di Locarno, terza edizione, per la miglior sceneggiatura originale, autori, oltre a Lizzani e Rossellini, Sergio Amidei e Max Colpet). Spinto quindi sia dalle istanze neorealiste, sia dal desiderio di servirsi del mezzo cinematografico per raccontare il nostro paese alle prese col dopoguerra, fra tradizione e mutamenti di costume ormai prossimi, Lizzani debuttò come regista girando alcuni documentari (Viaggio al sud e Via Emilia km 147, 1949, Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, 1950) e diede vita al suo primo film di finzione nel 1951, Achtung! Banditi!, un’opera importante per il cinema italiano: in primo luogo se ne ricorda l’originale formula produttiva (venne creata al riguardo ad una vera e propria cooperativa, Spettatori produttori Cinematografici) ed in seconda analisi la modalità del racconto ha sì come base di partenza un dato storico, la Resistenza, dando spazio sia alla lotta armata che ai movimenti all’interno delle grandi fabbriche, che va però a confluire in una sorta di sguardo d’insieme su vari accadimenti privati.

(Coming Soon)

Lizzani, pur realizzando un film ancora scomposto nelle varie parti, iniziò comunque a tracciare il percorso che avrebbe seguito nei lavori successivi: senso di spontaneità e scorrevolezza lungo l’iter narrativo, capacità di condensare il senso dello spettacolo e l’azione nell’ideologia, anche a costo di dare minore risalto alla psicologia dei personaggi e all’atmosfera complessiva. La sua produzione, oltre sessanta film, certamente eterogenea ma discontinua nei risultati, è stata infatti sempre caratterizzata da una vitalità esploratrice unita ad una estrema curiosità, che lo ha portato negli anni ad abbracciare vari generi, senza comunque mutare dall’ispirazione originaria, un viaggio fra realtà e memoria storica, coerenza e metodo storiografico. Dopo aver girato l’episodio L’amore che si paga (uno dei sei di cui è composto il film L’amore in città, 1953, che vide coinvolti Antonioni, Fellini, Risi, Lattuada, Maselli e Zavattini), Lizzani ottenne alla settima edizione del Festival di Cannes il Prix International per Cronache di poveri amanti, dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, 1946, pellicola in cui inizia a prestare una certa attenzione anche ai personaggi secondari. In seguito con film come Lo svitato, 1956, Esterina, 1959, Il carabiniere a cavallo, 1961, tentò la strada della commedia (protagonisti rispettivamente Dario Fo, Carla Gravina e Nino Manfredi), potenzialmente ma ancora non concretamente nelle sue corde, in sospensione fra rodati cliché e voglia d’apportarvi qualcosa di nuovo.

(Cinema Paradiso)

Riuscirà nell’intento con La vita agra, 1964, dal romanzo, 1962, di Luciano Bianciardi, dove, nella tradizione della migliore commedia all’italiana ed avvalendosi della riuscita interpretazione di Ugo Tognazzi, ha offerto una concreta mediazione fra denuncia sociale ed i toni insieme amari e disillusi della satira (alla sceneggiatura, oltre al regista parteciparono Luciano Vincenzoni e Amidei). Prima di questo film, fedele a quella linea storica ed insieme percorso di memoria che iniziava nel periodo fascista e trovava il suo culmine nella Resistenza, Lizzani aveva portato sullo schermo storie particolarmente coinvolgenti con Il gobbo (1960), L’oro di Roma (1961) e Il processo di Verona (1963), un filo d’Arianna che condurrà negli anni a Mussolini ultimo atto (1974) e Hotel Meina (2007). Uno sguardo culturalmente limpido e vivace, sempre attento anche agli eventi di costume o di cronaca che venivano a sconvolgere la vita socio-politica del paese (Svegliati e uccidi, 1966; Barbagia,1969; San Babila ore 20, 1976), osservati anche attraverso felici incursioni nei generi, come il suo secondo western, Requiescant, 1967 (seguente al poco riuscito Un fiume di dollari, 1966), metafora dei cambiamenti in atto nel mondo alla vigilia del ’68, dove i temi della giustizia sociale, della ribellione al sistema, trovano espressione sia nella figura del protagonista, Lou Castel, che in quella di Pier Paolo Pasolini, nei panni di Don Juan: più del tema della rivoluzione propriamente detta a dominare è quello dell’assunzione di una presa di coscienza individuale, con conseguente atteggiamento critico verso le storture del sistema, evolvendosi poi in attenzione verso le sorti dei singoli.

Lizzani (Moked)

Un intellettuale completo, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo (da ricordare la sua collaborazione con la televisione pubblica e la scrittura di testi come Storia del cinema italiano, 1961 e 1979), capace d’esprimere le proprie idee, nella vita come sullo schermo, sempre con coerenza ed eleganza, forte di un’indubbia conoscenza storica- cinematografica e della consapevolezza di come gli errori durante l’umano cammino possano portare spesso all’acquisizione di nuove realtà ed inedite conoscenze, arricchendo e diversificando la varietà delle proposte. Pleonastico scrivere che la sua è fra quelle figure della nostra cultura di cui si avverte particolarmente la mancanza, considerazione valida almeno per quanti ne hanno apprezzato la figura, i suoi lavori, ma anche per quest’Italia ormai smarritasi nei rivoli di un personalismo spicciolo, che ha dimenticato troppo in fretta la propria valenza storica e culturale.


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