Concludo la pubblicazione delle recensioni relative ai film visionati nell’ambito della XVI Edizione di Youngabout International Film Festival (Bologna, 30 novembre-17 dicembre), fra quelli proposti per gli studenti delle scuole inferiori e superiori nel corso delle proiezioni mattutine al Cinema Odeon, con due titoli piuttosto interessanti, differenti nell’impostazione complessiva, ma accomunati dal riuscire a portare in scena un valido racconto di formazione, che sa parlare ai più giovani con un linguaggio immediato nella sua resa empatica, stimolando molteplici riflessioni e rivelandosi inoltre del tutto gradevole anche per gli adulti, i quali non potranno che apprezzarne la freschezza narrativa e le incisive modalità di regia, attente a valorizzare le interpretazioni attoriali e l’ambiente in cui vanno a sostanziarsi, rimarcando determinati accadimenti e le varie situazioni che si andranno a creare. Iniziamo con How I Learned to Fly (Eto kada sam naučila da letim), realizzazione serbo-croata che vede alla regia Radivoje Andrić, mentre la sceneggiatura, opera di Ljubica Luković, adatta un racconto di Jasminka Petrović: Sofija (Klara Hrvanović, sorprendente per spontaneità ed immedesimazione), 12 anni, vede sciogliersi come neve al sole la possibilità di trascorrere le programmate vacanze estive in campeggio con i coetanei, dove avrebbe cercato di farsi notare dal fratello della sua migliore amica, del quale è infatuata, agognando l’atteso primo bacio. Dovrà invece recarsi con la burbera nonna materna Marija (Olga Odanović) sull’isola di Hvar (Lesina), in visita alla sorella di lei, Luce (Snježana Sinovčić), ospitate nella sua casa in campagna. Dopo lo sgomento iniziale, Sofija, sostenuta anche dalla zia, riuscirà ad inserirsi nella comunità giovanile del posto, scoprendo poi alcuni dolorosi segreti di famiglia, legati al conflitto in Bosnia-Erzegovina del 1992…
Il regista segue da vicino la giovane protagonista, permeando con sensibilità l’iter narrativo della emozionalità che esternerà nei confronti degli avvenimenti cui andrà incontro e nei riguardi dei rapporti con familiari e coetanei, alternandone la voce narrante a degli inserti visivi animati, ad esempio i messaggi e le foto provenienti dai social, creando una solida sinergia tanto col valido lavoro di scrittura, anche relativamente alle psicologie dei personaggi, quanto con la vivida fotografia (Dušan Joksimović) e l’accattivante colonna sonora (Vasil Hadžimanov), senza dimenticare l’apporto del montaggio (Dejan Urosevic) nell’assicurare una concreta fluidità. Risalta in particolare come How I Learned to Fly riesca a conciliare sana leggerezza e concreta profondità, con lo sguardo di Sofija a rendersi congruo filtro delle tante vicende che andranno a succedersi una dietro l’altra, conducendola verso l’adolescenza, all’interno di un percorso a tappe, che le farà comprendere non solo l’importanza delle relazioni familiari ed affettive in genere, ma anche quanto l’esistenza debba essere vissuta nella sua interezza, accogliendone il turbinoso alternarsi di felicità e dolore. Esemplare a tale ultimo riguardo la specularità metaforica tra la sequenza iniziale, la ragazzina si immerge sott’acqua rinvenendovi congruo isolamento dalle problematiche quotidiane proprie di un organismo in crescita e quella che volge al finale, quando invece si librerà letteralmente verso il cielo, avendo acquisito quanto possa essere d’aiuto un volo planare nel gravitare sulla realtà che ci circonda. Ed ora andiamo a scrivere del giapponese It’s a Summer Film! (Summer Film ninotte), diretto e sceneggiato, in quest’ultimo caso insieme a Naoyuki Miura, da Soushi Matsumoto, al suo esordio nei lungometraggi, ambientato in un liceo nipponico nel periodo estivo, dove gli studenti sono impegnati nella preparazione di un cortometraggio.
Vi è chi cavalca l’onda dei dramedy romantici, che sembrano andare per la maggiore fra i giovani e chi, come la studentessa Hadashi Barefoot (Marika Ito), memore delle pellicole chanbara (l’equivalente dei nostri cappa e spada, qui con i samurai protagonisti), alle cui proiezioni era solita assistere da piccola con la nonna e tuttora visionate con trasporto emotivo, vorrebbe girare un film dall’identico soggetto, che vedrebbe quale perfetto interprete principale il coetaneo Rintaro (Daichi Kaneko). Improvvisata una troupe, assistita dalle amiche Kickboard (Yuumi Kawai) e Blu Hawaii (Kilala Inori), Hadashi darà il via alle riprese, che andranno avanti con qualche difficoltà, in particolare una volta che Rintaro si rivelerà essere un viaggiatore temporale, proveniente da un’epoca dove i film hanno una durata brevissima, una manciata di secondi, “perché la gente non ha più voglia di ascoltare le storie degli altri”… Sorprende piacevolmente nel corso della visione come Matsumoto, affidandosi anche alle valide interpretazioni attoriali, esaltate dai realistici dialoghi pregni di ironia, ponga in essere un racconto di formazione inserito nella società giapponese ma dalla portata universale, per il tramite di un linguaggio metacinematografico, che vede rincorrersi, fino alla confluenza reciproca, immaginazione e realtà, rendendo l’impossibile possibile e viceversa, visualizzando una a volte necessaria mescolanza dei generi, andando oltre i rigidi canoni formalistici/estetici di riferimento. Si contempla inoltre la possibilità di allestire, sia nella realtà quotidiana, sia sullo schermo, un finale diverso, anche all’ultimo momento, assecondando la propria natura e la propria inclinazione, autoriale ed esistenziale, conferendo ad entrambe un preciso significato.
Un omaggio al cinema in quanto tale quello delineato da It’s a Summer Film!, evocativo dell’afflusso immaginifico reso nel buio della sala, attualizzazione del mito della caverna di Platone ed anche suggestiva macchina del tempo, assecondando l’inesorabile fluire di quest’ultimo. Un afflato incantato incline a riunire più generazioni, fino a ridestare l’eterno fanciullino che è in noi, così da lasciarsi permeare dalla magia cinematografica, volta a proporre un ciclico gioco di affabulazione con gli spettatori.