Proiettato lo scorso 26 marzo alla Sala Mastroianni del Cinema Lumière della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Paradiso Jazz Festival, all’interno della rassegna Uno sguardo al documentario, dopo essere stato presentato, fuori concorso, nella sezione Ritratti e paesaggi del 40mo Torino Film Festival, The Beat Bomb, scritto e diretto da Ferdinando Vicentini Orgnani, si offre alla visione come la visualizzazione di un caleidoscopico viaggio mentale che prende spunto dall’amicizia tra il cineasta ed il poeta Lawrence Ferlinghetti (1919-2021), nata all’inizio del 2007, per ripercorrerne i tratti salienti della sua attività quale pigmalione della Beat Generation, a partire dalla creazione, luglio 1953, della libreria City Lights a San Francisco, in società con Peter Martin, posto ideale per quei nuovi poeti che si rendevano cantori di un’inedita visione della realtà, in primo luogo Allen Ginsberg e il suo poema Howl (Urlo), 1956, che avallava l’idea di una totale liberalizzazione nei riguardi di ogni aspetto della vita sociale, un vero e proprio inno contro il conformismo e l’illusorietà di un benessere la cui idea è calata dall’alto, in nome di una evoluzione incline a materializzarsi verso la pura e semplice esteriorità. Un ritmato grido di dolore, considerando la musicalità dei versi nel richiamare le tonalità avanguardiste del jazz degli anni ’50 (espresse da artisti quali Miles Davis e Charlie Parker), contro un sistema volto a garantire l’attuazione pratica di quel “diritto alla felicità” sancito nella Costituzione, purché vengano rispettati determinati parametri atti all’inserimento sociale, il matrimonio, la famiglia, la casa, il benessere a portata di mano fra mutui, rate e tassi d’interesse, che venne pubblicato da Ferlinghetti nella raccolta Howl and Other Poems, comportandone l’ arresto per oscenità.
Orgnani si mantiene distante dalla contestualizzazione storica propriamente detta, asseconda un andamento casuale, proprio del riaffiorare alla mente di quelle tante esperienze che vanno ad intervallare il consueto rituale quotidiano dello scorrere esistenziale, intersecando piacevolmente materiali di repertorio con le dichiarazioni rese da Ferlinghetti, da gente comune che lo ha conosciuto e ne perpetua il ricordo, da altri poeti del tempo suoi amici, a partire da Jack Hirschman (1933-2021), il quale esterna una drastica ma incisiva riflessione su come la vera ed unica avanguardia oggi sia costituita dai poveri della Terra, in quanto del tutto ignorati dalla maggior parte della compagine sociale e quindi avulsi dai suoi meccanismi standardizzati volti alla produzione e al consumo. Spazio anche a quanti hanno deciso di seguirne le orme a prezzo di vari sacrifici, gestendo un’anarchia da intendersi quale opposizione al sistema per il tramite della propria arte, nell’esprimere “un pensiero altro”, pur consapevoli di un’integrazione in esso, per quanto essenzialmente formale, come affermato dall’indomito ed insolito mecenate, il quale non manca, tra l’altro, di lanciare qualche frecciata ad Obama, nella cui persona non vede alcunché di propriamente rivoluzionario, classificandolo come un centrista moderato idealizzato dalla sinistra, anche perché nessun presidente, ricordando comunque il tentativo di Eisenhower, concretizzato all’interno di un famoso discorso, ha adottato una ferma posizione contro la lobby rappresentata dalla congiunzione tra potere militare ed industriale.
The Beat Bomb, la cui lavorazione è durata circa 15 anni, presenta un fluire narrativo piuttosto libero, sembra assecondare la causalità dei ricordi in ordine sparso, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, una sorta di ritmo sincopato, al pari dei poemi beat, sostenuto ulteriormente da una suadente colonna sonora, che vede Paolo Fresu alla tromba, Dino Rubino al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso e Daniele Di Bonaventura al bandoneon. Ma soprattutto sostanzia fino in fondo, in primo luogo, la sua necessarietà documentale, riattualizzando quello che il movimento Beat è stato, cosa abbia stimolato nelle generazioni del suo tempo e di quelle immediatamente successive in termini di lotta e conquista relativamente a benvenute trasformazioni sociali in termini di parità di diritti e migliori condizioni esistenziali, offrendo anche salutare impulso a quanto potrebbe ancora suscitare nelle nuove leve, ove fossero mosse da un concreto desiderio di conoscenza. Va quindi a visualizzare, nella resa formale del flusso mnemonico, che interessa anche il nostro paese oltre gli Stati Uniti (la narrazione ha inizio a Lagoral, Trentino, nel 2021 e termina al Teatro Tor Bella Monaca di Roma, maggio 2008, con Ferlinghetti ad esibirsi in un Bombardamento poetico insieme a Giorgio Albertazzi e Michele Placido), l’auspicabile possibilità che la poesia riesca nuovamente a sostanziarsi sia come forma di denuncia sia quale apportatrice di una rinnovata speranza, intrisa di quella purezza propria di “un gruppo di bambini all’angolo della strada, che parlano della fine del mondo” (definizione della Beat Generation ad opera di Jack Kerouac).
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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