Bologna, “Il Cinema Ritrovato”: anticipazioni sulla XXXVII Edizione

Torna Il Cinema Ritrovato, proponendosi ancora una volta come un’oasi luminosa al riparo dalle inquietudini del nostro tempo, con Piazza Maggiore e diverse sedi in tutta la città di Bologna, dal 24 giugno al 2 luglio, a celebrare il cinema con oltre 400 proiezioni, conferenze, dibattiti e mostre: un sogno in Technicolor lungo nove giorni, così da vedere e riscoprire alcuni dei più grandi capolavori del cinema e condividere questa esperienza con amici e colleghi giunti da ogni parte del mondo. La Settima Arte verrà declinata in tutte le sue forme ed espressioni, dall’Asia al Medio Oriente, dall’Europa all’Africa, fino alle Americhe, seguendone l’evoluzione dal 1903 al 1923 e da lì sorvolare un secolo di meraviglie, fino a completare la missione precipua del Festival presentando alcuni dei più recenti documentari sulla storia del cinema e un programma appositamente pensato per gli spettatori più giovani. I titoli selezionati dai curatori internazionali saranno proiettati in nuovissime versioni restaurate digitalmente, in copie 35mm d’epoca o fresche di stampa, ma ci saranno anche proiezioni di formati a passo ridotto. Come sempre, in Piazzetta Pasolini si accenderà il  leggendario proiettore con lanterna a carbone, offrendo una straordinaria esperienza sinestetica. Tutti i film muti saranno accompagnati da musica dal vivo e, in Piazza Maggiore, da un organico orchestrale. Pur nella sua dimensione gioiosa ed euforica, Il Cinema Ritrovato continuerà a indagare le grandi questioni del presente attraverso le opere del passato, come dimostra la rassegna dedicata ai registi in esilio nell’Europa centrale degli anni Trenta, volta a farci ricordare come nel cinema coesistano spesso risate e lacrime: anche nella loro condizione di totale sradicamento, questi autori seppero creare opere d’intrattenimento sopraffine.

Anna Magnai (ELLE)

Le personali dedicate al gigante hollywoodiano di origini armene Rouben Mamoulian, a cura di Ehsan Khoshbakht, e ad uno dei maestri meno studiati del cinema giapponese, Teinosuke Kinugasa, a cura di Alexander Jacoby e Johan Nordström, in collaborazione con il National Film Archive of Japan, riveleranno un livello straordinario di sperimentazione, narrazione visiva, uso del suono e del colore, dall’epoca del muto al CinemaScope. Grazie agli omaggi alla sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico, a cura di Masolino, Silvia e Caterina d’Amico, all’irripetibile Anna Magnani (a cura di Emiliano Morreale) e alla direttrice della fotografia e regista Elfi Mikesch, a cura di Martin Koerber, sarà possibile continuare ad esplorare le carriere di grandi artiste davanti e dietro la macchina da presa. Forse la più grande, sicuramente la più ammirata ed imitata, Anna Magnani riuscì ad imporre il proprio volto dapprima come attrice brillante e, dopo il trionfo di Roma città aperta (Roberto Rossellini, 1945), variò dalle mille incarnazioni di un personaggio popolare romano a ruoli diversissimi come quelli nel Le Carrosse d’or (Jean Renoir, 1952)  o nel monologo de Una voce umana, primo episodio del film L’amore (1948, Rossellini), adattamento di un’opera teatrale di Jean Cocteau (La Voix humaine, 1930) fino ad arrivare ad Hollywood e al premio Oscar, Miglior Attrice Protagonista, per la sua interpretazione di Serafina Delle Rose in The Rose Tattoo (1955, Daniel Mann, da un soggetto teatrale di Tennessee Williams). Fu la prima attrice italiana a vincere l’agognata statuetta per l’interpretazione in una pellicola americana, ulteriore conferma del talento interpretativo proprio dell’indimenticabile Nannarella, una delle più intense attrici che il cinema italiano abbia mai conosciuto, uno di quei felici casi in cui la donna e l’artista hanno dato vita ad un tutt’uno imprescindibile, nella capacità di restare sempre fedele a se stessa e alla propria arte con una impareggiabile carriera teatrale e cinematografica.

Suso Cecchi d’Amico (IMDb)

Celebre per la capacità di tradurre la propria visione in luce, movimento e poi colore, Rouben Mamoulian, armeno di Tbilisi naturalizzato statunitense, ebbe una produzione tra le più coerenti del cinema americano. Giustamente celebrato per l’inestimabile contributo che offrì alla transizione di Hollywood al sonoro sia liberando la macchina da presa, sia usando i dialoghi come una forma di accompagnamento musicale, fu imitato e invidiato per i suoi sapienti movimenti di macchina. Creatore di uno stile immediatamente riconoscibile per la sua raffinatezza, il suo umorismo e le sue sfumature erotiche, praticò con altrettanta efficacia generi più cupi, assumendo un ruolo da pioniere per il film di gangster e l’horror. La retrospettiva presenterà l’opera di Mamoulian a partire dal suo unico contributo al cinema muto agli inizi del sonoro fino al suo ultimo musical, a colori e in CinemaScope. Ad eccezione del nuovo restauro digitale di Dr. Jekyll and Mr. Hyde, tutto il resto sarà proiettato in 35mm. Nel corso di una carriera iniziata ai tempi della nascita del neorealismo e durata oltre sessant’anni, Suso Cecchi d’Amico ha collaborato a più di centoventi film (prevalentemente, ma non esclusivamente, italiani), diretti da esordienti o da registi affermati. Il suo scopo non è mai stato quello d’imporre le proprie idee, bensì di capire e assecondare i progetti e le poetiche degli autori con cui ha lavorato. D’altro canto, come ogni artista, aveva evidentemente una voce e una personalità sue proprie. Proporsi di rintracciarle all’interno di film assai diversi per tono, genere e linguaggio è lo scopo di questa rassegna, certo parziale ma sicuramente affascinante, che presenta una selezione di opere significative scelte in una filmografia ricca ed eterogenea quale pochi altri scrittori cinematografici possono vantare, rappresentando una felice sintesi tra perfezione, eleganza, sensibilità e pregevolezza intellettuale mai fine a sé stessa, trasferendo l’arte di saper fare cinema in un raffinato lavoro di scrittura.

Teinosuke Kinugasa (Wikipedia)

L’illustre regista giapponese Teinosuke Kinugasa (1896-1982) si trova in un rapporto paradossale con la cinefilia internazionale. Se Jujiro – Incroci (1928) e La porta dell’inferno (1953) fecero una precoce apparizione in Europa e Una pagina di follia (1926) è considerato un classico dell’avanguardia, l’opera di Kinugasa nel suo complesso è ancora poco conosciuta all’estero. La retrospettiva presenterà una selezione ricca e diversificata di opere, spaziando da pregevoli adattamenti letterari a film sulle arti sceniche fino a inconsuete pellicole in costume che sacrificano in larga misura l’azione violenta a favore di una sofisticata analisi storica e di un intenso dramma personale. Attingendo a recenti restauri e a copie d’epoca, il programma metterà in luce le notevoli qualità di Kinugasa quale regista di attori e la varietà stilistica della sua arte, che passa agilmente dall’espressionismo monocromatico a un impiego pittorico del colore.  Uno degli appuntamenti fissi del festival, Cinemalibero,  percorrerà le strade più impervie della storia del cinema per illuminare l’opera unica ed eloquente di autori anticonformisti e liberi cui è stato ingiustamente negato un posto tra i grandi del cinema: sarà così possibile riscoprire alcuni capolavori che, celebrati in patria, non hanno goduto del giusto riconoscimento a causa dell’assenza di una distribuzione adeguata all’estero, film ignorati o censurati, messi al bando dalle forze conservatrici della loro epoca e oggi riportati in vita grazie a complessi progetti di ricerca e restauro. I nove programmi di quest’anno, a cura di Cecilia Cenciarelli, si rivolgono a tre aree geografiche e cinematografiche (Asia centrale, cinema panarabo post-1967 in Libano e Siria e Africa occidentale), per ciascuna delle quali verranno proposti diversi restauri in anteprima mondiale, tra cui, rispettivamente: The Fall of Otrar (Gibel Otrara, Ardak Amirkulov, Kazakistan, 1991); The Dupes  (Al-Makhdo’un, Tewfik Saleh, Siria, 1972); Ceddo (Ousmane Sembène, Senegal, 1977), parte di un omaggio dedicato al maestro africano nel centenario della nascita.

Elfi Mikesch (Cineuropa)

Nata nel 1940 in Austria e attiva a Berlino a partire dagli anni Sessanta, Elfi Mikesch è tra i direttori della fotografia più importanti del cinema tedesco. Proveniente dal mondo della fotografia, si è avvicinata al cinema nei primi anni Settanta. Oltre a girare i propri film ha lavorato come direttrice della fotografia a più di cinquanta opere di altri registi, tra cui Werner Schroeter, Rosa von Praunheim, Monika Treut, Friederike Pezold, Heinz Emigholz, Cynthia Beatt e Teresa Villaverde. È stata insignita tre volte del Deutscher Kamerapreis, compreso il Premio alla Carriera nel 2006. Nei suoi oltre venti film, dei quali è stata spesso anche sceneggiatrice e produttrice, si è mossa liberamente tra vari generi. Molti sono documentari, ma grazie alla loro libertà formale tendono a sconfinare nella sperimentazione poetica e si distinguono in particolare per la raffinatezza dell’illuminazione e dei movimenti di macchina. Questo programma presenterà cinque film degli anni Ottanta che esemplificano la sua cinematografia eclettica. Per anni questi film sono stati inaccessibili, se non in malridotte copie 16mm, prima che la Deutsche Kinemathek ne intraprendesse il restauro.

Ball im Savoy di Stefan (István) Székely (1935) (Wikipedia)

L’anno scorso il Festival ha dedicato una sezione alle commedie musicali tedesche del periodo 1930-1932: in quest’edizione andrà a seguire i destini esistenziali e creativi di quei talenti negli anni dell’esilio proiettando cinque commedie musicali in lingua tedesca prodotte in Austria e Ungheria. La presa del potere da parte dei nazisti nel gennaio 1933 segnò la fine dell’influenza ebraica sulla cinematografia popolare tedesca. Per molti cineasti ebrei (registi, attori, sceneggiatori e produttori), segnò anche l’inizio della vita e del lavoro in esilio. Negli studi cinematografici di Vienna e Budapest essi mantennero viva la visione di un altro tipo di cinema in lingua tedesca, meno raffinato ma molto più libero, irriverente e avventuroso di quello che dominava gli schermi nazisti. Come le commedie musicali della tarda Repubblica di Weimar, questi film sono pieni di melodie orecchiabili, di storie d’amore spensierate, di maldestri maneggioni e, a tratti, di una malinconia che riflette lo sradicamento e l’incertezza del futuro. La sezione è curata da Lukas Foerster. Giunta al suo ventesimo anniversario, la sezione Cento anni fa, curata da Oliver Hanley, continuerà ad esplorare un singolo anno della ricca e varia storia del cinema offrendo una selezione di classici intramontabili, rarità d’archivio e stimolanti documentari del 1923, concentrandosi sugli emigré russi che lavoravano nella casa di produzione francese Albatros, sulla nascita del western come genere serio ad Hollywood, sull’apoteosi del cinema espressionista tedesco e sugli ultimi bagliori del diva film italiano. Dai cinegiornali dell’epoca, ecco la memoria di eventi di grande importanza come il terremoto del Kanto che devastò Tokyo e la scoperta della tomba di Tutankhamon. La maggior parte dei film in programma sarà proiettata in 35mm, ma saranno presentati anche alcuni nuovi restauri digitali.

(Cineteca di Bologna)

Nel 1903 Méliès si trovava all’apice della sua arte grazie a splendide opere come Le Royaume des fées, film destinato a costituire il pezzo forte di un programma composto da una varietà di generi, in cui era sempre presente un buon numero di comiche e di trucchi visivi. Mentre i registi britannici portavano nel cinema il loro spirito innovativo, negli Stati Uniti (The Great Train Robbery di Edwin S. Porter, ad esempio) facevano  la loro comparsa film improntati alla violenza e a trame d’azione. Nello stesso anno, Pathé frères rivaleggiava ambiziosamente con le superbe féeries introducendo le spettacolari produzioni di Lucien Nonguet dedicate a personaggi storici (Napoleone, Maria Antonietta). Diversi titoli Pathé, appartenenti alla collezione dei Corrick, una famiglia di intrattenitori ambulanti, saranno presentati in versioni restaurate a partire da copie australiane colorate a mano. Ma il cinema non consisteva solo di queste produzioni internazionali: operatori locali hanno documentato il loro 1903 con singolari immagini in movimento. La sezione è curata da Mariann Lewinsky e Karl Wratschko. Dopo aver sbirciato, nel corso delle precedenti edizioni, nell’opera nota di Albert Samama Chikli, il Festival è pronto a condividere alcune (spettacolari) scoperte che riemergono dagli archivi di questa straordinaria personalità, ora affidati dalla sua famiglia alla Cineteca di Bologna. Lo studio di lettere, fatture, appunti autografi e fotografie ha rivelato i dettagli di una carriera dietro la macchina da presa che va dal 1905 al 1924 e ha consentito di stabilire, per la prima volta, una filmografia di oltre cento titoli. Albert Samama non può più essere considerato una nota marginale nella storia del cinema, una presenza effimera ed esotica: è stato un pioniere, una figura di spicco degli albori del cinema e il primo cineasta del continente africano.

Albert Samama Chikli (Il Cinema Ritrovato)

 Il Cinema Ritrovato si appresta a rivelare la portata e le articolazioni della sua eredità, iniziando con una prima selezione di restauri di film dal vero e cinegiornali a partire dai negativi conservati negli Archivi Gaumont Pathé e di un ritrovamento spettacolare da La Cinémathèque française, a cura di Mariann Lewinsky e Cecilia Cenciarelli. Dopo aver celebrato l’anno scorso i cent’anni del formato 9,5mm, si continuerà ora con un altro anniversario: un secolo fa Eastman Kodak introdusse il formato 16mm come alternativa meno costosa alla pellicola 35mm. Gli ambiti in cui il 16mm era ed è usato erano e sono molto vari, ecco quindi, unendo le forze con l’associazione indipendente Cinémathèque16 di Parigi, che si andrà a presentare una selezione dalla loro eclettica collezione di copie d’epoca che abbraccia molti aspetti di questo formato (muti colorati, primi film pubblicitari, Scopitones, versioni home movie di celebri film horror, trailer di muti perduti e rarità del cinema di finzione e non). Il secondo capitolo dell’edizione di quest’anno è dedicato al cinema sperimentale del Québec e dell’intero Canada. La selezione offrirà tra l’altro l’occasione di (ri)scoprire le opere sperimentali di autentici artisti come Joyce Wieland ed Étienne O’Leary, ciascuno dei quali è rappresentato con una personale (a cura di Karl Wratschko con la collaborazione di Cinémathèque16 e di André Habib). (Fonte: sito del Festival Il Cinema Ritrovato)


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