Duccio (Amedeo) Tessari (Genova, 1926-Roma, 1994) è stato tra i protagonisti del cinema italiano di genere, spaziando tra peplum, spaghetti western, poliziesco e guerra, connotando ogni pellicola di una particolare ironia, giocosa e scanzonata, spesso in forte contrasto con i toni drammatici o violenti.
Trasferitosi a Roma negli anni ’50, dopo le esperienze nella città natale in qualità di produttore, operatore e regista di documentari, inizia a lavorare, come assistente, al fianco di Carmine Gallone e Vittorio Cottafavi, divenendo tra i più validi sceneggiatori del filone storico-mitologico, cui è legato il suo esordio registico nel ’61, Arrivano i Titani, mentre nel ’65, dopo aver collaborato, tra l’altro, alla scrittura di Per un pugno di dollari, ’64, Sergio Leone, dirige il suo primo western, Una pistola per Ringo.

In un paese al confine tra Stati Uniti e Messico, qualche giorno prima di Natale, lo sceriffo Dan (George Martin) apprende che Ringo “faccia d’angelo” (Giuliano Gemma / Montgomery Wood) è stato scagionato da un’accusa d’omicidio, per legittima difesa: temendo la vendetta dei fratelli della vittima, cerca di rintracciarlo, ma lo trova quando li ha già fatti fuori e lo conduce in cella, in attesa del processo. Intanto, il bandito messicano Sancho (Fernando Sancho) rapina la banca con la sua banda, di cui fa parte anche la bella Dolores (Nieves Navarro), intenta a distrarre lo sceriffo, il quale comunque riesce a ferire il malvivente, che trova rifugio con i suoi nella tenuta del maggiore Brown (Antonio Casas), vedovo con una figlia, Ruby (Lorella De Luca / Hally Hammon), fidanzata di Dan; Ringo sembra essere l’elemento adatto ad agire come infiltrato, in cambio di una percentuale sulla somma rubata…

Rielaborazione di Ore disperate, William Wyler, ’55, per ammissione stessa di Tessari, anche autore del plot (insieme, non accreditati, a Fernando Di Leo, Alfonso Balcazar, Enzo Dell’Aquila), il film racchiude in sé un po’ tutti gli elementi classici del western, la normalità di una tranquilla cittadina sconvolta da un tragico evento, lo sceriffo integerrimo ma duttile, l’individualista eroe suo malgrado, non dimenticando il vecchietto brontolone e il cattivo da manuale, rivisitati con un tono da commedia, come si evince dai dialoghi abbastanza brillanti. Un certo equilibrio viene mantenuto grazie all’efficace regia, tanto nelle scene d’ interni che in quelle d’azione, per quanto lontana dalla ricerca formale e dal manierismo di Leone, e alle valide prove attoriali, almeno nel senso della corrispondenza con il personaggio interpretato, visto che il taglio un po’ bonario alla fine finisce per prevalere, in particolare nel villain Sancho.

Gemma-Ringo è una figura interessante nelle sue molteplici contraddizioni, parente alla lontana dell’ Eastwood / “Straniero senza nome”: scarsa inclinazione alle regole, se non quelle forgiate sulla base di un personale tornaconto, quindi tendenzialmente anarchico, ma capace di gesti nobili, affronta la vita sempre con il sorriso sulle labbra e la mano a sfiorare l’impugnatura della Colt, fedele allo spirito proprio di Tessari, superare il senso del tragico sfruttando la spensieratezza del riso. Ecco quindi, a inizio film, Ringo che gioca con dei bambini prima di sparare, o l’incredibile duello finale, quando il nostro usa una vecchia pistola a guisa di stecca da biliardo, giocando di sponda con una campanella, e il proiettile di rimbalzo colpisce a morte Sancho, nascosto dietro un muro…

Bella la colonna sonora di Ennio Morricone, con Angel Face cantata da Maurizio Graf (testo di Gino Paoli) sui titoli di testa e di coda; il grande successo di pubblico spinse l’uscita, appena un anno dopo, de Il ritorno di Ringo, il quale però, nonostante il titolo, l’impiego più o meno dello stesso cast e dello stesso set, non è un sequel, bensì una storia autonoma, basata sull’Odissea, coerentemente con il disincantato assunto programmatico del regista: “Nessuno di noi inventa niente, hanno inventato tutto Omero e Tolstoj…”