Fra i film girati da Roberto Rossellini con Ingrid Bergman protagonista (Stromboli- Terra di Dio, 1950; Europa ’51, 1952; l’episodio Ingrid Bergman, 1953, da Siamo donne; Giovanna d’Arco al rogo, 1954; La paura, 1955), Viaggio in Italia rappresenta, almeno a parere di chi scrive, l’opera più riuscita, dalla portata compiutamente innovatrice; quest’ultima non venne compresa dalla critica del tempo, in Italia in particolare si rimproverava l’autore di aver tradito lo spirito del Neorealismo, lasciandosi andare ad un velleitarismo figurativo, ma venne comunque sottolineata e presa ad esempio dai giovani critici francesi della rivista Cahiers du cinéma, fondata nell’aprile 1951 da André Bazin e Jacques Doniol-Valcroze, tra i cui collaboratori figuravano Éric Rohmer, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol e François Truffaut. Infatti, la struttura portante della pellicola, la sua costruzione complessiva, così affidata alla casualità, all’accadimento materializzatosi dinnanzi la macchina da presa ed offerto all’elaborazione degli spettatori, si ritroverà in molte realizzazioni della Nouvelle Vague, multiforme movimento innovatore all’interno della cinematografia francese, che si sarebbe sviluppato in particolare sul finire degli anni’50.

Sceneggiato da Vitaliano Brancati con la collaborazione di Rossellini, Viaggio in Italia incentra l’iter narrativo sui coniugi inglesi Joyce, Alex (George Sanders) e Katherine (Ingrid Bergman), giunti in auto nella città di Napoli per vendere una villa ereditata dallo zio Mike, ritiratosi a vivere in Campania subito dopo la guerra. Ambedue appaiono rigidi, compassati, forse anche esageratamente formali, subitamente a disagio con la realtà partenopea, così viva, solare, spontanea. Ma mentre Alex rivela un certo sarcasmo dietro la sua aria sprezzante, Katherine manifesta, celata dal velo di un perbenismo per certi versi piuttosto esibito, una vena romantica, alimentata dal ricordo di un amore giovanile, uno scrittore che aveva decantato, idealizzandole, le bellezze della città di Napoli in alcuni suoi versi. Dopo otto anni di matrimonio, ora che la coppia si ritrova per la prima volta veramente sola e lontana dalle mura domestiche, la distanza fra i due si rende sempre più evidente, e frequenti sono i rimproveri che si rinfacciano l’un l’altro riguardo la crisi del loro rapporto.

Se però l’ambiente circostante sembra irritare Alex, il quale andrà a Capri “a divertirsi”, in Katherine scatenerà invece un certo turbamento, idoneo a scuoterla dal torpore di una passionalità trattenuta, che si manifesta sia quando visita i vari luoghi d’arte, sia quando vaga in auto attraverso le vie cittadine, dove la vita si manifesta in tutta la sua contraddittoria irruenza.
Una volta che Alex farà ritorno a Napoli, ecco l’ennesima lite e la decisione di divorziare, ma dopo aver assistito ad uno scavo a Pompei (il ritrovamento di due corpi, uomo e donna, morti stringendosi l’una all’altro), nel corso di una processione, separati dalla folla, Alex e Katherine si cercheranno per ritrovarsi improvvisamente uniti in un abbraccio. Due esseri umani che sembrano ritornati ad esprimere un’unica, forte, vitalità, nell’espressione della loro diversità (dal luogo, dalla popolazione che li circonda, dalla loro reciproca individualità) come possibile e forse definitivo punto d’incontro.
Rossellini dirige Viaggio in Italia con uno stile asciutto, essenziale, lasciando spazio a profonde, innovative, da un punto di vista cinematografico, tematiche psicologiche relative al rapporto di coppia, le quali prendono man mano vita attraverso il vissuto di una donna: la delicatezza espressiva della Bergman fa sì che una determinata situazione ambientale possa divenire una sorta di realtà sussidiaria, sul cui sfondo andranno a stagliarsi più eventi non sempre collegati fra loro, a volte anche insignificanti o superflui. Tali accadimenti si riveleranno invece fondamentali nel consentire che, attraverso l’interazione con quanto circonda i due coniugi, possa scaturire, alla pari della lava del Vesuvio, in apparenza dormiente, la nitida percezione della propria essenza più limpida, vivida e genuina. Il particolare percorso di “ritorno alla vita” affrontato da Katherine e Alex, appare espresso con una certa naturalezza dai rispettivi interpreti.
La Bergman, infatti, visualizza il disagio di una fragilità che andrà a ricomporsi per trasformarsi in un’inedita forza vitale grazie ad una rivitalizzazione conseguente al contatto visivo con qualsiasi oggetto o persona venga ad incrociare (il turbamento nel guardare le statue al museo, la cui suggestione è alimentata dai lunghi movimenti di macchina). Sanders delinea invece con anglosassone efficienza il carattere spiazzante di Alex, uomo comunque cristallino nel suo ostentato e freddo orgoglio, incapace d’immedesimarsi empaticamente nei problemi altrui, visti come ostacoli al cammino impettito imposto dal proprio ego (la mancata avventura a Capri, il desistere dall’intrattenersi con una prostituta). Il “metodo rosselliniano” consiste nel far sì che le vicende in cui si trovano coinvolti, prendano forma autonoma sullo schermo, tutto è girato, o almeno così appare a nostri occhi, assecondando l’azione del momento, come se si stesse verificando “qui e ora”, miscelando finzione cinematografica e realtà fenomenica.
Funzionale l’apporto offerto da una scabra fotografia (Enzo Serafin) che sfrutta a dovere l’illuminazione naturale e da un montaggio (Jolanda Benvenuti) del tutto libero da qualsivoglia vincolo “artistico”.
Si offre dunque allo spettatore, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, la possibilità di rendersi partecipe della storia, deducendo stati d’animo ed evoluzioni narrative.
Prendiamo, ad esempio, la bella sequenza del ritorno di Alex da Capri, con Katherine rimasta sveglia ad aspettarlo che prontamente spenge la luce e finge di dormire: entrambi appaiono imbarazzati nel non riuscire ad esprimere le loro emozioni, ciò che avvertono in quel preciso istante, e noi lo possiamo intuire grazie all’alternanza delle inquadrature rivolte ai due coniugi, al solito raggelati dal loro reciproco orgoglio. Mirabile anche la scena dello “scavo in diretta” a Pompei, più precisamente un calco, con la deflagrazione improvvisa del disagio emotivo di Katherine, a lungo trattenuto.
Da qui prende piede anche la parziale comprensione di Alex, lungi però dal lasciarsi andare e desistere dall’idea di una separazione, fino a giungere, sempre assecondando un andamento narrativo casuale, al finale “liberatorio”, quando si manifesterà un sentimento reciproco ancora vivo, fossilizzato nel tempo, fra abitudine e convenzioni.
Un irrigidimento, esteriore ed interiore, usato come schermo protettivo nei confronti di ogni avvenimento che possa rivelarsi distante da quella convenienza sociale cui si pensa di essere debitori riguardo la propria sopravvivenza.
Ecco, quindi, espressa la modernità della “lezione” di Rossellini, la macchina da presa “oltraggiosamente” adoperata come elemento di contatto col reale, nel visualizzare la manifestazione di un disagio dapprima solo interiore, idoneo nella sua graduale manifestazione a rendere percepibile la propria vera essenza, perché Dentro di noi c’è qualcosa che non ha nome e quella cosa è ciò che noi siamo (Josè Saramago).
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Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo “ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei.
Ingrid Bergman
2 risposte a "Viaggio in Italia (1953)"