Roma, anni ’50, Stazione Termini.
Dal treno appena giunto scende una coppia di novelli sposi, i coniugi Cavalli, Ivan (Leopoldo Trieste) e Wanda (Brunella Bovo).
La Capitale farà da sfondo alla luna di miele, anche se i due sembrano avere ben altro per la testa, persi nell’immaginario dei loro sogni, alimento necessario ad alimentare le aspirazioni piccolo-borghesi di quanti, coccolati nella placenta della vita di provincia, anelano ad un miglioramento della propria condizione esistenziale. Quest’ultimo può paventarsi nel patetico tentativo da parte di Ivan d’ingraziarsi lo zio “alta personalità in Vaticano”, così da potersi garantire una rapida carriera impiegatizia, tanto per cominciare, oppure, romanticamente, in quanto anelato da Wanda, segreto serbato in cuor suo, conoscere lo Sceicco bianco, alias Fernando Rivoli (Alberto Sordi), protagonista di un fotoromanzo del quale non si è mai persa un solo numero. Gli ha già scritto numerose lettere, firmandosi bambola appassionata, ricevendo anche una risposta di conferma riguardo un possibile incontro. Ed ecco che mentre il maritino si concede il meritato riposo, dopo aver stilato tutto un programma di incontri con la parentela e visite turistiche, ma vi è anche una parentesi per una conoscenza intima, Wanda, con la scusa di appartarsi per fare un bagno, fugge dall’ albergo per recarsi alla direzione del giornaletto, finendo poi per unirsi alla sgangherata troupe in viaggio verso la spiaggia di Fregene. Qui le apparirà, onirica visione, dondolante su di un’altalena che pare sospesa tra le nuvole, il tanto desiderato “sceicco”, il quale, fra pose da divo e fascino d’ordinanza tenterà di sedurla, dapprima offrendole una parte d’odalisca e poi raccontandole un’amena storiella sul suo sfortunato matrimonio.
Intanto Ivan, irretito dal ritmo cittadino ed angosciato per la scomparsa della consorte, farà fatica a tenere a bada i parenti e si recherà pavidamente al commissariato; una volta scesa la notte vagherà piangente per la città, trovando consolazione nella compagnia di due prostitute, Cabiria (Giulietta Masina) ed Assunta (Marina Dolfin)…

Prima regia autonoma di Federico Fellini, dopo aver diretto nel 1950 Luci del Varietà insieme ad Alberto Lattuada e i trascorsi di disegnatore satirico per la rivista umoristica Marc’ Aurelio e di sceneggiatore, Lo sceicco bianco rivela una portata dirompente per l’epoca di realizzazione: Fellini infatti, fatto proprio il soggetto originario (attribuito a Michelangelo Antonioni, ma anche a Lattuada), supportato nella sceneggiatura da Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, nella cornice di un’incisiva e graffiante commedia di costume e critica sociale, prende le distanze dagli stilemi del realismo critico, che pretendeva il dovuto distacco tra autore e personaggi e propende ad una sorta di complicità riguardo i vari accadimenti in cui si troveranno coinvolti all’interno dell’iter narrativo. Questo perché, in primo luogo, non si tratta di “attori presi dalla strada”, quei personaggi sono elaborazioni di esperienze interiori, portati sullo schermo in un percorso immaginifico, che con estrema, poetica, semplicità parte dalla realtà e lambisce sponde oniriche, per poi compiere il percorso inverso, senza che si notino differenze. Si ha così una dilatazione di quanto visibile agli occhi di noi spettatori, all’insegna della fantasia più pura, combinando tra loro leggerezza, ironia, sentimentalismo, toni autobiografici. Ecco quindi un Leopoldo Trieste eccezionale per mimica ed immedesimativo stralunamento, attore chiamato da Fellini per prendere il posto di Peppino De Filippo, all’ultimo momento risultato non disponibile, che con la sua interpretazione traccia un grottesco ritratto d’italiano piccolo-borghese, tutto “vizi privati e pubbliche virtù”; altrettanto notevole la caratterizzazione offerta da Alberto Sordi di un seduttore da operetta, Rodolfo Valentino de noantri, sogno rustico a portata di mano delle abituali lettrici dei fotoromanzi, che già porta sulle spalle tutto il peso del cosiddetto italiano medio: indolente, sbruffone, vanitoso ma farfugliante e tremolante una volta che si troverà di fronte la moglie virago.

Da non sottovalutare anche la realistica resa di Brunella Bovo, potenziale bambola appassionata e definitiva consorte benevola, che vedrà in Ivan, amara consolazione, il suo “sceicco bianco”, dopo aver duramente constatato, tanto da tentare goffamente il suicidio, che “a volte il sogno è un baratro fatale”, allontanando da sé l’idilliaca visione che gli era stata prospettata inizialmente dalla direttrice del fotoromanzo, “la vita vera è quella dei sogni”. Di rilievo anche la sottolineatura di alcuni personaggi secondari: oltre a Masina che offre alla sua Cabiria (ritornerà nel film a lei dedicato, Le notti di Cabiria, 1957, sempre Fellini alla regia) un’ intrigante mescolanza d’ingenuità e malizia, è da menzionare anche Ernesto Almirante nei panni dello starnazzante regista del fotoromanzo, mai contento di nulla, neanche stesse dirigendo chissà quale capolavoro, in cui credo sia possibile ravvisare una buona dose di autoironia da parte del cineasta riminese. Vengono quindi sparsi i semi, già inclini a germogliare, della futura poetica felliniana:sfumature ed introspezioni psicologiche, l’illusorietà del mondo dello spettacolo (nella fattispecie i fotoromanzi, ma il discorso può allargarsi includendovi il cinema), il movimento frenetico,“circense”, sottolineato dai ritornelli di Nino Rota, o le varie passerelle, dalla marcia dei bersaglieri a farsi simbolo del travolgimento confusionale di Ivan alla discesa delle scale da parte dei “divi”, materializzazione del sogno di Wanda, fra i tanti contributi volti a rendere l’atmosfera come sospesa in una bolla onirica. Il finale sarà solo apparentemente lieto: la coppia, ricongiunta, pare aver compreso ormai la propria caducità esistenziale ed i toni, anche nell’apparente leggerezza d’insieme, sono comunque sferzanti e sempre accompagnati da una impagabile lucidità.
Si delinea infatti un tessuto sociale al cui interno l’umanità appare ormai ripiegata su se stessa, non più protesa verso sogni ancora genuini, quelli da condividere nella consapevolezza di dover tornare coi piedi per terra, bensì in balia di luccicanti promesse volte a condurre ad un viaggio nell’illusorietà che sembra non prevedere ritorno.
Trascrizione del mio intervento a Radio Gamma Gioiosa, lunedì 20 gennaio 2020, all’interno della trasmissione Sunset Boulevard
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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L’ha ripubblicato su L'arme, gli amori.
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