Napoli, anni ’50, in prossimità delle festività natalizie. In una modesta stanza vivono i novelli sposi Attilio (Giuseppe Anatrelli) ed Emilia (Isa Danieli). Il reciproco e profondo amore compensa la difficile situazione in cui versano: Attilio infatti, nonostante il suo continuo darsi da fare, non riesce a trovare un impiego, anche se si paventa la possibilità, trascorse le feste, di essere inserito come amministratore in una ditta di conserve alimentari, almeno stando alla promessa di un amico, il cui zio ne è socio. Intanto aumenta il numero delle mensilità da versare al locatore, l’anziano Domenico Tenneriello (Eduardo De Filippo), che però non è il proprietario, visto che la stanza fa parte dell’appartamento in cui vivono lui e la consorte Sofia (Dolores Palumbo), anche loro in arretrato col pagamento dell’affitto. Le due coppie appaiono propense a riflettersi l’un l’altra, sulla base delle rispettive ambasce, anche se da una parte sembra coltivarsi ancora la speranza di un possibile miglioramento esistenziale mentre dall’altra rassegnazione e recriminazione si rincorrono giornalmente, vedi l’esternato brontolio di Domenico nel rammentare come avesse un bel posto a Milano, in un saponificio, ma poi dovette abbandonare e far ritorno a Napoli, causa la profonda nostalgia provata dalla consorte.
Emilia ha messo da parte con fatica 750 lire, i risparmi di tre mesi, intende infatti comperare un bel regalo per Natale all’amato Attilio, ma la somma non è sufficiente, tanto da arrivare ad un gesto estremo, farsi tagliare e quindi vendere i lunghi capelli. Intanto a turbare l’armonia familiare arriva tale Federico Gerenzia (Nino Veglia), uomo facoltoso, che ha messo gli occhi proprio su Emilia, arrivando a promettere una sistemazione per Attilio se gli si concederà, ma la donna, anche con l’aiuto dello scaltro Domenico, lo respingerà. Una volta giunto il momento dei doni le sorprese non mancheranno: Emilia con la vendita della chioma ha potuto comprare la catena per l’orologio di Attilio e quest’ultimo ha ceduto proprio la sua “cipolla”, ereditata dal padre, per acquistare all’amata dei pettinini d’oro e tartaruga… Fra le commedie forse meno note di Eduardo De Filippo, Il dono di Natale, un atto unico, venne scritta dal drammaturgo partenopeo nel 1932, sulla base del racconto The Gift of the Magi di O. Henry (pseudonimo di William Sydney Porter), pubblicato in origine il 10 dicembre 1905 sul New York Sunday World come Gifts of the Magi, per poi assumere il titolo attuale un anno più tardi, nella raccolta di racconti The Four Million, sempre opera di O. Henry.
La prima assoluta della commedia eduardiana andò invece in scena il 4 febbraio 1934, al Teatro Sannazzaro di Napoli, ad opera della compagnia teatrale Teatro umoristico i De Filippo e l’autore la inserì nel volume Cantata dei Giorni pari, tra Gennariniello e Quinto piano, ti saluto!, nell’edizione Einaudi del 13 ottobre 1959, per poi eliminarla dalle ristampe, mentre una versione per la televisione venne realizzata dalla Rai insieme alla San Ferdinando Film e mandata in onda sul Programma Nazionale il 19 maggio 1956, per la regia teatrale (non accreditata) di Eduardo e televisiva di Vieri Bigazzi, che è quella da me visionata, sulla piattaforma RaiPlay. Rispetto alla citata novella originale, la rappresentazione teatrale appare certo più articolata e volta a sviluppare un andamento narrativo compiutamente corale, mettendo in scena la quotidianità di due coppie diverse in quanto ad atteggiamento esistenziale e modalità di fronteggiare le varie problematiche, pur nella comunanza di un evidente fatalismo.
I monologhi di Eduardo nei panni di Domenico Tenneriello, la sua sottesa furbizia nel trattare con fare in apparenza accomodante le pretese del tronfio cavaliere Gerenzia, i battibecchi con la consorte interpretata felicemente da Dolores Palumbo, movimentano non poco la narrazione, arricchendola di arguta ironia, senza però che venga sminuito o comunque alterato quello che è il tema dominante proprio dell’opera d’origine, ovvero il concreto significato da apportare ai doni che andranno a scambiarsi i novelli sposi, interpretati con fresca spontaneità dai giovani, al tempo, Danieli ed Anatrelli, in particolare all’interno di una festività, il Natale, già prossima a prendere le distanze dalla sua portata più intima e sincera, ovvero non solo, o non tanto, una festa contornata da illusorie scenografie e melassa in offerta speciale, bensì una disposizione dello spirito, un’occasione per riflettere su se stessi, sul proprio ruolo esistenziale, come singoli e nei rapporti col prossimo, sulla sincerità dei propri desideri. Emilia ed Attilio, in apparenza, si sono scambiati dei doni inutili ed infatti, da un punto di vista prettamente materiale lo sono, in quanto inutilizzabili, ma il significato che essi esprimono è molto più profondo della loro pura e semplice corporeità elargitiva, in quanto non solo manifestano un sacrificio, reciproco, messo in atto da due persone all’insaputa l’uno dell’altra, rinunciando a qualcosa che è loro caro per arrecare al compagno un minimo di felicità, compensandolo delle rinunce cui la loro vita al momento è soggetta, ma delineano anche piuttosto chiaramente quanto sia un regalo ben più rilevante quello che giornalmente i due riescono a trasmettere nei loro rispettivi riguardi, un amore così grande da soppiantare qualsiasi egoismo in nome di una condivisa felicità e di un concreto rispetto della propria individualità, senza spirito di recriminazione alcuno.
Un gesto in apparenza sciocco, privarsi di ciò che al momento si possiede di più caro, sempre da un punto di vista prettamente materiale, ma che sottende appunto qualcosa di più grande ed “utile” nell’affrontare insieme il percorso terreno, nell’aspettativa di un’inedita speranza e nella ferma certezza di un amore forte e coeso. Eduardo quindi visualizza con forza espressiva in questo bell’atto unico, non dimenticando di avallare un’amara ironia, che va a stemperarsi nel finale lasciando spazio a più di una riflessione, quanto O. Henry tratteggiava nella storia originaria, un comportamento apparentemente insulso che nasconde però l’infinita saggezza, ben più grande sosteneva l’autore di quella dei Magi che portarono i doni a Gesù, di chi ha finalmente compreso quale sia il reale valore da conferire ai vari oggetti materiali che ci circondano e che spesso vorremmo fare nostri, andando quindi a valorizzare quel dono gratuito offertoci dalla nostra stessa esistenza e della possibilità di condividerla con quanti ci sono vicino, nella comune condizione di esseri umani intenti a percorrere identico cammino. (Trascrizione del mio intervento del 22/12/2020 nel corso della trasmissione settimanale Sunset Boulevard, in onda su Radio Gamma Gioiosa ogni martedì alle ore 16)
Agli amici lettori di Sunset Boulevard, abituali o di passaggio, cari e lieti auguri di Buon Natale, nella luce di una ritrovata umanità e nell’attesa di un’inedita speranza. Grazie di cuore a tutti, un abbraccio.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XXXIV, 139)
Antonio