Manfredi 100-Per grazia ricevuta (1971)

Nino Manfredi (Pinterest)

Nino Manfredi, di cui oggi, lunedì 22 marzo, ricorre il centenario della nascita, è stato fra i grandi protagonisti della commedia all’italiana, alla cui produzione offrì, dopo una lunga esperienza nel teatro di prosa, nella rivista e nella commedia musicale, il suo talento certo insolito, particolare, capace di portare in scena una recitazione pacata, basata su un umorismo sommesso e controllato, che accentuava i toni malinconici di un attore comunque dotato di un’ istintiva carica di simpatia, affrontando ruoli man mano sempre più rilevanti, inclini progressivamente ad abbandonare caratterizzazioni dialettali per dar vita a personaggi dalle notevoli sfaccettature, psicologicamente rimarchevoli. Personalmente conservo con gioia e commozione nel cuore il ricordo, fra le tante pregevoli interpretazioni (per esempio il ciabattino Cornacchia di Nell’anno del Signore, 1969, o Monsignor Colombo in Nel nome del Papa Re, 1977, entrambi diretti da Luigi Magni), quella di Mastro Geppetto nello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (Luigi Comencini, 5 puntate, dall’8 aprile al 6 maggio 1972, sul Programma Nazionale della RAI, felice adattamento del noto romanzo di Collodi). Difficile dimenticare, per il bambino di allora come per l’adulto odierno, quello sguardo stupito e allo stesso tempo assertivo nell’accettare l’impossibile, coincidente con quanto intimamente desiderato: un burattino (una marionetta a voler essere sofistici..), costruito nottetempo, che al mattino appare quale vispo bimbetto (Andrea Balestri), constatando commosso “Sono padre!”, tra profonda naturalezza e vivida umanità.

Manfredi e Fulvia Franco ne L’avventura di un soldato (Corriere Torino/Corriere della Sera)

In questo mio ricordo intendo soffermarmi sulle qualità di Manfredi regista cinematografico, rammentando la sua seconda prova dietro la macchina da presa, Per grazia ricevuta, 1971, suggestivo trait d’union fra la bravura dell’attore e l’intelligenza dell’autore, offrendo ulteriore compiutezza a quanto già dimostrato nel suo esordio da cineasta, L’avventura di un soldato, tratto da un racconto di Italo Calvino, episodio del film L’amore difficile, 1962 (gli altri tre vedono alla regia Alberto Bonucci, Sergio Sollima, Luciano Lucignani). Si narra dell’incontro in treno tra un soldato (Manfredi) ed una vedova (Fulvia Franco), seduti fianco a fianco, i quali, senza pronunciare alcuna parola, danno vita ad un sottile gioco di seduzione visualizzato con rara sensibilità mimica, intervallato da qualche gag legata ai comportamenti degli altri passeggeri presenti nello scompartimento. Tornando a Per grazia ricevuta, Manfredi, autore del soggetto, ne scrisse anche la sceneggiatura, insieme a Luigi Magni, Piero De Bernardi e Leo Benvenuti; la narrazione prende il via all’interno di una clinica, dove accorre chiamato d’urgenza il medico chirurgo (Fausto Tozzi) per operare tale Benedetto Parisi (Manfredi), caduto giù da una scogliera, probabile suicida,  ormai in punto di morte; al capezzale la compagna Giovanna (Delia Boccardo), la bigotta madre di lei, Immacolata (Paola Borboni), la quale rivolge al Padreterno la preghiera di allungare una mano e riprendersi Benedetto, ormai “più di là che di qua”, così da far sì che la figlia possa sposare l’ avvocato amico di famiglia (Gastone Pescucci), anche lui presente a presidiare il triste evento.

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A quanto si dice, al momento di dire addio al mondo si ripercorre buona parte della propria esistenza ed egualmente  Benedetto si rivede bambino, orfano, quando viveva con sua zia (Antonella Patti) in un piccolo paese del Basso Lazio; irrequieto ed allergico alle regole, il giorno della sua Prima Comunione, sconvolto dal non aver confessato un grave peccato (aver visto la zia nuda mentre si immergeva nella tinozza), si soffocava nel momento in cui riceveva l’Ostia e fuggiva spaventato, cadendo in un fosso, restando però illeso: la sua salvezza veniva attribuita a Sant’ Eusebio, suo amico celeste per volontà del parroco, buona occasione per la zia di affidarlo ai frati di un vicino convento, in attesa di un segno che ne ufficializzasse la chiamata. Ormai adulto, svolgente mansioni di tuttofare sempre all’interno del citato convento, Benedetto, del tutto estraniato dal mondo, era sempre in attesa del messaggio celeste, che  arriverà assumendo però le fattezze terrene del naturale richiamo del sesso, dopo un fortuito incontro con l’educatrice di una colonia (Mariangela Melato), per lui devastante, cresciuto tra timori e superstizioni che con la religione hanno ben poco a che fare.

Delia Boccardo, Lionel Stander, Manfredi (Wikipedia)

Una volta sciolto delle pastoie spirituali, per quanto sempre presenti, e divenuto venditore ambulante, per lui diveniva illuminante l’incontro con un farmacista libero pensatore (Lionel Stander), che lo aiutava a liberarsi dei suoi complessi, anche se l’ausilio definitivo veniva offerto dalla figlia Giovanna, incline ad accogliere le idee paterne, con la quale Benedetto, dopo aver disertato di comune accordo la cerimonia nuziale, andrà a convivere; nel vedere il suocero, in punto di morte dopo un attacco di cuore, quindi non del tutto cosciente, accettare i sacramenti e regolarizzare l’unione con Immacolata, Benedetto restava profondamente sconvolto, tanto da decidere di suicidarsi, ma, torniamo al presente, il chirurgo annuncia a Giovanna che il compagno vivrà, “è stato proprio un miracolo…” Manfredi realizzò Per grazia ricevuta attingendo dai propri ricordi di gioventù  ma anche offrendo adito alla propria interiorità, nel tentativo di fornire una risposta alla domanda che lo assillava da quando venne ricoverato in sanatorio, ragazzino, causa tubercolosi, come Dio, volendo dare per certa la sua esistenza, potesse tollerare la presenza puntuale del male nel mondo; spostando la propria attenzione dalle grandi città, ormai pressoché dominanti nelle rappresentazioni offerte dalla classica commedia all’italiana, verso ambienti rurali, dove religione e superstizione tendono a stringersi la mano, e piccoli centri di provincia, nel cui ambito invece predomina un profondo bigottismo, Manfredi delinea l’idea di una fede il cui senso può essere offerto dall’interiorizzazione di una personale spiritualità, da cui consegue lo spontaneo affidamento al divino o, meglio, all’immanenza del sacro nell’esistenza quotidiana, pur fra i tanti dubbi o incertezze che ne accompagnano, da sempre, la sua esternazione.

Paola Borboni (Wikipedia)

Alle titubanze al riguardo contribuisce non poco un credo indottrinato, atto ad insinuarsi nell’animo umano con i suoi modelli di comportamento e la conseguente idea del peccato, il quale in fondo non è altro, per dirla con Pasolini (La religione del mio tempo), che “reato di lesa certezza quotidiana”. L’autore non prende una posizione sulla necessità d’assoluto che potrebbe essere desiderata o appartenere a ciascuno di noi, bensì si limita a suggerire e circoscrivere, anche con accorti movimenti di macchina e raffinate inquadrature (per esempio i volti dei frati incorniciati dalle finestrelle di una parete), situazioni e caratteri, valorizzando la recitazione di ciascun interprete, mai peccando, giusto per restare in tema, di protagonismo, lasciando quindi agli spettatori la scelta di dove collocare la suddetta esigenza, propensa a permeare l’esistenza di un significato libero da condizionamenti, meditato e attuato in totale autonomia. Per grazia ricevuta, che può vantare anche una luminosa fotografia (Armando Nannuzzi) ed un valido motivo sonoro (Guido De Angelis), fu presentato in concorso al 24mo Festival di Cannes, dove vinse il Premio miglior opera prima; conseguì anche il Nastro d’Argento per il miglior soggetto originale e la miglior sceneggiatura, oltre al David di Donatello Speciale per Manfredi.


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