(MyMovies)

Non so voi, amiche lettrici e amici lettori, ma per quanto mi riguarda quando le paturnie vanno a prendere il sopravvento sull’ordinaria ritualità quotidiana i rimedi pronto uso per ritornare alla “condizione standard” consistono nel girovagare in qualche libreria, curiosando tra i vari tomi senza un ordine preciso, oppure trovare rifugio all’interno di una sala cinematografica, in particolare se i titoli in programmazione attirano il mio interesse o la mia curiosità. La seconda soluzione ha prevalso qualche settimana addietro, quando, dopo una serie di disavventure lavorative, il mio animo ha trovato sollievo dalla visione di due film, che, per i motivi qui di seguito illustrati, mi hanno particolarmente entusiasmato, tanto da far scoccare il classico colpo di fulmine: Maria di Pablo Larraín e Itaca. Il ritorno, diretto da Uberto Pasolini.

Apro le danze con l’analisi dell’opera del regista cileno, presentata, in Concorso, alla 81ma Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia, sceneggiata da  Steven Knight e conclusione di un’ideale trilogia dedicata ai ritratti di figure femminili ritenute rilevanti all’interno della Storia del ‘900, iniziata con Jackie (2016) e proseguita con Spencer (2021). La narrazione prende il via dalla morte di Maria Callas (Angelina Jolie), il 16 settembre del 1977, nel suo appartamento parigino, dove viveva affettuosamente assistita dalla cameriera Bruna (Alba Rohrwacher) e dal maggiordomo ed autista Ferruccio (Pierfrancesco Favino), per poi procedere a ritroso, raccontando gli eventi della settimana precedente.

Pierfrancesco Favino, Angelina Jolie, Alba Rohrwacher (Movieplayer)

La divina, così veniva appellata ai tempi dei suoi trionfi sui palcoscenici di tutto il mondo, ormai lontana dalle scene da anni causa cagionevoli condizioni di salute, tentava di riprendere a cantare, senza però riuscire mai a rinvenire nuovamente quell’intonazione naturalmente ispirata che le era propria, fino assumere la dolorosa consapevolezza di non essere più quella di un tempo. Trovava sollievo nei farmaci, oppiaceo, momentaneo, Nirvana, aduso a rimembrarle gli accadimenti salienti della propria esistenza, nella volontà sottesa di riappropriarsene, come se stesse scrivendoli in un’autobiografia o narrandoli in un’intervista.

Ricordi che si susseguivano in ordine sparso assumendo forma onirica, confondendosi con la realtà, dalle grandi interpretazioni in opere come, tra le tante, Madame Butterfly, La Traviata, La Tosca, alla vita privata, il grande amore per l’armatore greco Aristotele Onassis (Haluk Bilginer), probabilmente mai sopito, o il ricordo di una madre che la definiva “grassa e inamabile”, cedendola insieme alla sorella Yakinthi (Valeria Golino, da adulta) ai militi tedeschi facenti parte delle truppe naziste occupanti la Grecia… Larraín, coadiuvato dall’ottima fotografia di  Edward Lachman, che rende l’appartamento della Callas un museologico microcosmo e la città di Parigi, resa nella sua luminosità autunnale, un proscenio aperto, mette in scena un del tutto personale acta est fabula che vede rincorrersi, nella visualizzazione di ricordi e allucinazioni, l’impiego di diversi formati (35MM, 16MM, Super 8) e il passaggio dal colore, ora nitido e acceso, ora sgranato, al bianco e nero.

Angelina Jolie (Movieplayer)

L’interpretazione di Angelina Jolie appare lontana dall’immedesimazione propriamente fisica ma è quanto mai idonea a rendere mirabilmente, precipuamente attraverso lo sguardo (ma anche con la voce, considerando l’intonazione di molti canti), l’ assecondare da parte della Callas, dolente ma fermo, di un evidente declino fisico e mentale che l’aveva ormai resa una sorta di ectoplasmatica presenza. Rinveniva infine nella morte la sublimazione di un’esistenza dedicata all’arte e all’amore, come in quell’aria della Tosca intonata oniricamente con la possanza vocale di un tempo poco prima della chiusura definitiva del sipario. Maria muore, ma la Callas rimane, a ricordarci col suo canto quel grande enigma del cuore e della mente, citando e parafrasando Chaplin (il clown in disarmo Calvero, Limelight, Luci della ribalta, 1952).

(Movieplayer)

Andando ora a scrivere di Itaca. Il ritorno, diretto, come su scritto, da Uberto Pasolini, anche autore della sceneggiatura insieme a John Collee ed Edward Bond, devo ammettere che inizialmente ho avuto qualche difficoltà nel prendere empatia con quanto andava a visualizzarsi sullo schermo, in quanto mantengo tuttora vivo il ricordo, ancora prima dell’Odissea trasmessa da “mamma Rai” in forma di sceneggiato televisivo in 8 puntate nel 1968 e poi riproposta negli anni (regia di Franco Rossi, Piero Schivazappa, Mario Bava), dell’Ulisse girato da Mario Camerini nel 1954, trasmesso da una  delle tante televisioni private che agli inizi degli anni ’80 proliferavano come funghi. Rammento infatti che venni letteralmente conquistato dall’Odisseo interpretato da Kirk Douglas, guizzante e scaltro, sprezzante nei confronti dei tanti pericoli che si trovava ad affrontare ed estremamente feroce nella vendetta contro i Proci, guidati da Antinoo (Anthony Quinn).

Nel film di Pasolini, invece, il re di Itaca, interpretato da un eccelso Ralph Fiennes, non ha nulla dell’eroe o del semidivino, è un reduce di guerra, che fa ritorno senza i suoi compagni nella terra natia, il corpo ancora possente ma piagato dall’incedere dell’età e dalle molte ferite. Una sorta di rinascita quella che avviene una volta arenatosi sulla battigia, nudo, gettato in mare da un’imbarcazione che lo aveva prelevato chissà dove, perché Odisseo è ora un uomo del tutto diverso da quello che era partito, vent’anni orsono, per la guerra di Troia. Viene accolto dal porcaro Eumeo (Claudio Santamaria), da cui apprende come nel palazzo reale si siano insediati i Proci capeggiati da Antinoo (Marwan Kenzari), il principale pretendente della regina Penelope (Juliette Binoche). 

Ralph Fiennes (Movieplayer)

Quest’ultima ha preso le distanze da tutti loro, promettendo di prendere una decisione quando avrà finito di tessere il velo funerario per il suocero Laerte (Nikitas Tsakiroglou), che sta trascorrendo i suoi ultimi giorni lontano dalla reggia, la mente ormai sconvolta dal mancato ritorno del proprio rampollo. Telemaco (Charlie Plummer), il giovane figlio di Odisseo e Penelope, vive sotto l’ombra della madre e nell’attesa del padre, faticando, personalità in crescita, a prendere una posizione ben precisa. Anche se Eumeo sembra intuire che sotto quel corpo spossato e quella mente sconvolta dalle brutture belliche possa celarsi l’irruento guerriero di un tempo, sarà il fedele cane Argo il primo a riconoscere il vecchio padrone, potendo finalmente lasciarsi morire e strappando una lacrima al duro soldato, l’unica della sua vita.

Una volta entrato a corte fingendosi un mendicante, identificato da una vecchia cicatrice sulla gamba dalla nutrice Euriclea (Angela Molina), Odisseo inizierà a rendersi conto della situazione, titubando però sull’opportunità di ritornare a prendere le armi… Sfruttando la rude naturalità delle location (il film è stato girato sull’isola di Corfù e altri luoghi del Peloponneso), Itaca. Il ritorno fa leva su di una essenzialità visiva sulla quale va a stagliarsi la progressiva rivelazione delle diverse psicologie inerenti ai personaggi principali, ponendo risalto ad una sofferta umanità, a partire da quella di Odisseo, che intende “dimenticare per ricordare”, ovvero fare piazza pulita di tutti gli orrori vissuti sul campo di battaglia e dei vari accadimenti in cui è incorso lungo il viaggio di ritorno ed offrire spazio nuovamente all’uomo che era un tempo, rispettato dai suoi sudditi ed amato dai suoi familiari, riscoprendo e condividendo le gioie del focolare domestico.

Fiennes e Juliette Binoche (Movieplayer)

La vendetta che andrà ad esercitare nei confronti dei Proci non avrà nulla di epico o eroico, assumendo le sembianze di una mattanza resa necessaria dalle circostanze, imposta dalla necessità di riappropriarsi di un ruolo ma soprattutto della propria interiorità. Penelope, una splendida ed intensa Binoche, si discosta anch’essa dalla figura classica: non è soltanto la donna che aspetta paziente il ritorno del marito, cui è pari nell’astuzia, disfacendo di notte quanto tesse di giorno. Intende anche rendersi conto se il coniuge sia realmente quello che aveva sposato, ora forse disilluso e stanco, ma ancora propenso ad accogliere una qualche scintilla vitale che lo porti a lottare per far sì che il nucleo familiare possa ricomporsi. Solo così, d’altronde, l’amato figlio Telemaco (un Plummer a tratti incolore) potrà individuare  un esempio da seguire e  percorrere finalmente la sua strada, avviandosi verso l’età adulta.

Interessante poi la figura di Antinoo, ben resa da Marwan Kenzari, anche in tal caso distante da quanto rinvenibile nel poema omerico relativamente a ferocia belluina ed istinto predatorio, più propenso ad una sorta di diplomatico avvedimento, che lascerà interdetti Odisseo e Telemaco al momento della resa dei conti. Supportato da una fotografia (Marius Panduru) ed una colonna sonora (Rachel Portman) intese ad accentuare più una certa tensione che l’epicità propriamente detta, Pasolini dirige con composta cura formale, offrendoci una visione piacevolmente personale del guerriero omerico e delle conseguenze del suo ritorno nella terra natia, alla cui narrazione complessiva avrebbe forse giovato una durata più breve. Un film certamente interessante, ottimamente diretto ed interpretato, da vedere, ad avviso del vostro amichevole cinefilo di quartiere, e da proporre anche come visione scolastica, direi dalla terza media in poi.

Immagine di copertina: Movieplayer

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

In voga