Addio, mia amata

Monica Vitti (Fanpage)

Cara Monica, prendo a prestito il titolo di un romanzo di Raymond Chandler (Farewell, My Lovely, 1940) per dedicarti un personale ricordo: ti ho amato come si può amare un’attrice conosciuta semplicemente attraverso la visione dei suoi film, usufruendo della magia immaginifica propria del cinema, rimanendo ogni volta ammaliato da quel tuo fascino così naturale, lontano anni luce da un divismo artefatto, magari costruito a tavolino, esaltato da un semplice sguardo o da un candido sorriso, ma soprattutto dalla tua ironia ed autoironia, ulteriore corollario ad uno stile invidiabile, con quella ineffabile eleganza scenica sempre e comunque giocata sulla discrezione, nella capacità di passare con disinvoltura dal tragico al comico, coniugando poliedricità e duttilità. Il tuo nome in realtà sarebbe Maria Luisa Ceciarelli: a quanto riportato in vari testi Monica era il nome della protagonista di un libro che stavi leggendo, mentre Vitti era il cognome di tua madre, Vittiglia, abbreviato.

(Corriere della Sera)

I tuoi lineamenti spigolosi, il fisico sottile quando le colleghe esibivano tratti morbidi e opulenti, non aiutarono inizialmente ad affermarti, senza dimenticare la caratteristica voce roca, che fece scrivere al medico esaminante nell’ambito della visita medica di routine prevista per gli allievi promossi all’interno dell’Accademia Nazionale Arte Drammatica Silvio D’Amico, frequentata nel 1950-51, per poi conseguire il diploma nel ’53: “Le sue corde vocali non le consentono gli sforzi di una carriera teatrale”. Al riguardo potremmo scrivere che proprio qui andasti ad offrire la tua prima prova di grande attrice, minacciando di ammazzarti seduta stante, interpretazione tanto convincente che il dottore stracciò immediatamente il certificato. Nello stesso anno del diploma ecco il debutto in teatro, cercando al contempo di avvicinarti al cinema, ma molti provini andarono a vuoto, solita risposta, “Non è fotogenica”, causa, riprendendo quanto scritto prima, la non aderenza, alta, magra, miope, seno piccolo, lentiggini, naso “importante”, allo stereotipo allora imperante delle “maggiorate fisiche”. Riuscisti comunque a ritagliarti un tuo spazio come doppiatrice, nonostante il suddetto caratteristico timbro vocale: qui entrò in gioco Michelangelo Antonioni, che ti aveva già resa prima attrice nella sua compagnia, affidandoti il doppiaggio di Dorian Gray ne Il grido (1957), fino a farti divenire la sua musa, protagonista di film dalla forte caratterizzazione psicologica/esistenzialista (L’avventuraLa notteL’eclissiDeserto rosso).

Sembra che il primo incontro col Maestro fu caratterizzato da questo fulminante scambio di battute: “Ha una bella nuca, può fare del cinema”, ricevendo come risposta “Sempre di spalle?”, ulteriore testimonianza di come all’interno della stessa donna convivessero due indoli, una comica/brillante, forse più naturale in quanto in linea col tuo carattere estroverso, l’altra drammatica, andando a delineare in ambedue i casi una modernità d’antidiva, oltre alla capacità di dare vita a personaggi femminili mai di “corredo” o subalterni a quelli maschili, sempre alla ricerca di una propria identità,  da sostenere in nome di una sofferta autodeterminazione. La svolta avvenne nella seconda metà degli anni ’60, quando passasti al genere della commedia che avevi ben frequentato a teatro, ma anche al cinema in piccoli ruoli, esprimendo a pieno la tua vocazione comica grazie a Mario Monicelli (La ragazza con la pistola, 1968). Oltre trentacinque anni di cinema, teatro e televisione, più di cinquanta film (uno solo da regista, Scandalo segreto, del 1990, che è anche l’ultimo in cui compari come attrice): il tuo, cara Monica, è certo un repertorio vastissimo, con interpretazioni entrate nella storia della Settima Arte, lavorando con i più grandi registi italiani e stranieri, in una folla di mattatori maschi, andando a caratterizzare ogni tipologia femminile, per esempio la donna borghese, nevrotica, dolente, per il citato Antonioni (“Mi fanno male i capelli…”, nei panni di Giuliana in Deserto rosso, 1964) o la popolana vitale con Alberto Sordi (Polvere di stelle, 1973).

(Il Giorno)

Quest’ultimo probabilmente potrebbe considerarsi il tuo partner ideale, nel segno di una vivida complementarietà, amici nella vita ed una invidiabile sintonia sulle scene, dando vita ad un sodalizio artistico di breve durata ma che ha lasciato il segno all’interno della nostra commedia da Il disco volante, 1964 (Tinto Brass), a Io so che tu sai che io so, 1982, regia dell’Albertone nazionale, così come Amore mio aiutami, 1969 e il citato Polvere di stelle, 1973, senza tralasciare Il leone, episodio diretto da Vittorio De Sica nel film collettivo Le coppie, 1970. Sarebbe però riduttivo, cara Monica, affidare il tuo ricordo a un mero elenco di film, preferisco ripubblicare le recensioni scritte a suo tempo relative al citato La ragazza con la pistola e a La Tosca di Luigi Magni, anche perché credo che ognuno di noi abbia in cuor suo una tua interpretazione che gli sia particolarmente cara e con la mente starà già andando, come lo scrivente, a rimembrarla, rendendo tattile, citando Shakespeare, quella spessa materia di cui sono fatti i sogni, resa opportunamente nel buio di una sala cinematografica. Grazie Monica, addio, mia amata.


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