“Benvenuti signore e signori, il mio nome è Israel e sono qui per portarvi in un mondo fantastico, popolato da personaggi bizzarri e mitologici. Reduci da successi in tutta Europa, conoscerete creature straordinarie, capaci di imprese memorabili e stupefacenti, perché soltanto al circo Mezza Piotta l’immaginazione diventa realtà e niente è come sembra”. Con queste parole un anziano illusionista (Giorgio Tirabassi) introduce lo spettacolo dei suoi freaks, “scherzi della natura” rifiutati dalla società, in forza di un contesto dove l’illusorietà della cosiddetta “normalità” la fa da padrone, impedendo alla specialità propria di determinati esseri umani di esprimersi nella compiutezza della loro più autentica essenza, se non per l’appunto nei limiti di una fenomenica esibizione. Ecco allora entrare in scena Fulvio (Claudio Santamaria), uomo lupo dalla forza erculea, Matilde (Aurora Giovinazzo), giovane donna elettrica, l’albino Cencio (Pietro Castellitto), col potere di ridurre gli insetti alla sua volontà ed infine Mario (Giancarlo Martini), piccolo uomo magnetico. Giunti alle porte di Roma, occupata dalle milizie tedesche dopo l’armistizio del settembre 1943, Israel comunica ai suoi “figli” la decisione di imbarcarsi per l’America, lontano dagli orrori di una guerra che appare tutt’altro che conclusa, idea che però inizialmente non trova tutti d’accordo: Fulvio in particolare teme per cosa ne sarà di loro una volta giunti in una terra sconosciuta, ma alla fine ognuno di essi consegnerà al “papà” la propria quota di danaro, così da raggiungere la somma necessaria all’acquisto del biglietto.
Ma il mattino seguente di Israel non vi è più traccia, si teme che sia scappato coi soldi ma anche che possa essere incappato in qualche rastrellamento, visto che è ebreo: se Matilde però intende mettersi sulle tracce dello scomparso, gli altri tre, Fulvio in testa, appaiono propensi ad “arruolarsi” nel luccicante Zirkus Berlin di Franz (Franz Rogowski), pianista con sei dita alle prese con la sua distorta visione del mondo, il cui risvolto pratico andrà ad interessare proprio i nuovi arrivati. Intanto Matilde, scampata all’aggressione di due soldati tedeschi, troverà asilo nel covo dei resistenti partigiani guidati dal Gobbo (Max Mazzotta)… Presentato, in concorso, alla 78ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, conseguendo una serie di premi collaterali*, fresco di 16 candidature ai David di Donatello (ex aequo con E’ stata la mano di Dio, di Paolo Sorrentino), Freaks Out, secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti, anche autore della sceneggiatura insieme a Nicola Guaglianone, credo possa essere incluso nel novero di quei segnali obiettivamente concreti relativi ad un sempre auspicato rinnovamento del nostro cinema, inteso a riallacciarsi, idealmente ma non solo, ad un passato, neanche tanto lontano, dove il ricorso al genere, fra intuizioni spesso felici e nell’ambito di un combinato disposto tra creatività e artigianalità, consentiva un’offerta cinematograficamente diversificata, passibile di congrua resa satisfattiva nei confronti di un ampio pubblico, lungi dal fossilizzarsi nell’offerta standardizzata di commedie “pronto cuoci” o titoli pregni di un esistenzialismo circoscritto all’ormai classico “due camere e cucina”, senza voler generalizzare e fatte salve benvenute eccezioni.
Ad un più che valido lavoro di scrittura, contraddistinto da ottimi dialoghi e supportato da un cast quanto mai idoneo ad offrire sagace dimensionalità nella definizione di caratteri e psicologie relativamente ai personaggi interpretati, si affianca il rilevante e sinergico apporto tecnico delineato da fotografia (naturalmente “seppiosa” e satura, opera di Michele D’Attanasio), scenografie (Massimiliano Sturiale), costumi (Mary Montalto) e montaggio (Francesco Di Stefano, mirabile in alcune sequenze d’azione, come quella della sparatoria all’interno del vagone di un treno, sulle note di un famoso valzer), arrivando anche ad introdurre funzionali innesti di atemporalità (vedi il futuro in fantasmagorica visione offerto da uno smartphone in guisa d’inedita, come credo notato da molti, sfera di cristallo ad un Franz in “viaggio” pseudo lisergico). Mainetti mette dunque in scena, con una regia agile ed incisiva, un film d’intrattenimento tout court, disseminando nel corso della narrazione i toni propri di un’ avventura in stile “armata Brancaleone”, citando opportunamente Monicelli, non dimenticando però di dare adito a varie considerazioni sul concetto di diversità, qui delineata nella cornice di una triplice raffigurazione. Vi è infatti quella dei “mostri”, visualizzata nella sua matrice più propriamente naturale, ovvero confacente all’identità di essere umano in quanto tale, con la differenziazione dai consueti canoni che va a costituire un quid pluris incline a rendere l’unicità quale forza trainante del nostro incedere esistenziale, ovvero un’eguaglianza basata sulla reciproca diversità.
Spazio poi alla frustrazione insita in Franz, il non riuscire ad accettare la particolarità delle sue sei dita per mano, se non in quanto funzionale nel renderla gradita ai commilitoni perché posta al servizio della causa, la ricerca di altri “casi umani” da inglobare fra le fila del Terzo Reich, plasmandoli a propria razzistica somiglianza, nell’ottica di una sottomissione globale; infine vi è la diversità ricercata e difesa dal gruppo dei partigiani, con le mutilazioni subite a farsi simbolico innesco della rabbiosa rivolta perpetrata verso gli occupanti, atta a livellare ogni forma d’ingiustizia, umana e sociale. Ritengo inoltre che non debba essere sottovalutato il rilievo che in Freaks Out viene offerto alla figura femminile, la Matilde interpretata con naturale slancio immedesimativo da Aurora Giovinazzo, dando adito alla paura per un potere che apprenderà come gestire a prezzo di dolorose esperienze, fino a dominarlo e porlo al servizio tanto di un personale percorso formativo quanto in forma di congruo ausilio verso una necessaria lotta atta a soppiantare la follia delirante dell’essere umano che si scaglia contro se stesso in nome di una fallace supremazia, all’insegna del predominio e del progresso fine a se stesso, scevro da una concreta evoluzione.
Forse, volendo fare i sofistici, in qualche passaggio, vedi la battaglia finale intesa, fra echi tarantiniani, a riscrivere la storia, il ricorso agli effetti speciali potrebbe apparire un po’ sovrabbondante, ma ritengo che Freaks Out, riprendendo in chiusura quanto scritto nel corso dell’articolo, sia un’opera riuscita e certo coraggiosa nell’esprimere senza mezzi termini, all’insegna della creatività e in nome del “cinema per il cinema”, una ritrovata fiducia nel volersi riappropriare di un filone al cui interno, forti di una geniale artigianalità, siamo stati più volti maestri, ovvero la reinterpretazione dei differenti generi cinematografici alla luce anche di una suggestiva mescolanza fra intrattenimento e riflessione.
*Leoncino d’Oro, Premio Lizzani, Premio Nuovoimaie Talent Award Migliore Attrice Esordiente ad Aurora Giovinazzo, Premio La Pellicola D’oro Miglior Tecnico di effetti speciali a Maurizio Corridori e Miglior Capo Elettricista a Loris Felici, Premio Rb Casting ad Aurora Giovinazzo, Premio Collaterale Xi Edizione “Sorriso Diverso Venezia Award” come Miglior Film Italiano, Premio Soundtrack Stars per la Migliore Colonna Sonora, Graffetta D’oro (FANHEART3 Award ) al Miglior Film.
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