Piera Detassis, Presidente e Direttrice Artistica dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, in accordo con il Consiglio Direttivo composto da Francesco Giambrone, Francesco Rutelli, Nicola Borrelli, Francesca Cima, Edoardo De Angelis, Domenico Dinoia, Valeria Golino, Giancarlo Leone, Luigi Lonigro, Mario Lorini, Francesco Ranieri Martinotti, ha reso noto ieri, martedì 2 maggio, che lo sceneggiatore, regista e produttore Enrico Vanzina riceverà il David Speciale 2023 nel corso della 68ma edizione dei Premi David di Donatello, mercoledì 10 maggio, la cui cerimonia di premiazione sarà trasmessa in diretta in prima serata su Rai 1 dagli studi Cinecittà@Lumina di Roma, condotta da Carlo Conti, affiancato da Matilde Gioli. Questa la motivazione, dichiarata da Piera Detassis: “Con il padre Steno ha firmato il cult Febbre da cavallo, con il fratello Carlo, regista e complice di un’intera vita professionale, ha siglato esattamente quarant’anni fa l’esplosivo successo di due film seminali, Vacanze di Natale e Sapore di mare: Enrico Vanzina, cui va il David Speciale 2023, è sceneggiatore, produttore, regista e scrittore di romanzi di successo, un cinefilo liberal, colto e fulmineo nel trafiggere i vizi e le manie del costume italiano specialmente nei decenni Ottanta e Novanta. Autore di più di cento sceneggiature, in coppia con Carlo ha contribuito a titoli (Yuppies, Le finte bionde, Eccezzziunale…veramente) che fissano indelebilmente il senso di un’epoca senza temere il pop. Il riconoscimento a Enrico Vanzina vuol essere una celebrazione dell’autore poliedrico e insieme il tributo affettuoso ad una famiglia artistica di grandi tessitori della commedia italiana, inventori di generi sedimentati nel nostro DNA di spettatori”.
Parole con le quali mi trovo sostanzialmente d’accordo, in quanto ritengo che vadano riconosciute, tanto a Carlo, che ci ha lasciato nel 2018, quanto ad Enrico, anche nell’ambito delle realizzazioni più becere e raffazzonate, una non comune capacità d’osservazione delle mutazioni in atto nella società, in particolare a livello di costume, pur rimproverandogli una spesso compiaciuta, e compiacente, messa alla berlina degli italici vizi, all’insegna di un cialtronesco “malcostume mezzo gaudio”, senza esprimere il coraggio di un vero e proprio affondo; evidente, poi, in molti loro titoli (almeno sino al triste subentro delle varie derive triviali ed escatologiche) un’allegra e coinvolgente spontaneità che assumeva la consistenza, pur flebile, di un richiamo sincero alla genuinità primigenia di un cinema “sanamente” popolare, certo memori di quanto il citato padre fosse stato un maestro nell’accostare situazioni comiche tipiche della commedia tradizionale a una pungente e talvolta amara satira di costume. Il lavoro congiunto dei due fratelli resta in definitiva un valido esempio di cinema sfaccettato ed intuitivo, idoneo a conciliare, non senza qualche stridore, leggerezza e riflessione, sbattendo in faccia agli spettatori, spesso e volentieri, gli stilemi, esasperatamente sguaiati, di una cafonaggine comportamentale non così distante, purtroppo, dalla realtà del vissuto giornaliero.