Jean-Paul Belmondo (1933-2021)

Jean-Paul Belmondo (Wikipedia)

Ci lascia l’attore francese, cinematografico e teatrale, Jean-Paul Belmondo, morto oggi, lunedì 6 settembre, a Parigi. Nato a Neuilly-sur-Seine nel 1933, figlio di un famoso scultore, Bébel, come era soprannominato, fisico asciutto ed atletico, volto esprimente una rude simpatia, con la caratteristica del naso schiacciato, frutto del tentativo di dedicarsi al pugilato (ma provò anche col calcio) considerata la scarsa propensione per lo studio, probabilmente è stato l’attore che ha saputo interpretare al meglio quell’afflato di modernità proprio della Nouvelle Vague, la “nuova onda” del cinema transalpino che prese piede tra la primavera del ’59 e l’autunno del ’63, spazzando via l’accademismo ereditato dagli anni ’30 e sostenendo la “politica degli autori”, i diritti del regista quale padrone assoluto del linguaggio cinematografico, offrendo tutto se stesso agli straniati personaggi di A doppia mandata (À double tour, 1959, Claude Chabrol), Fino all’ultimo respiro (À bout de soufflé, 1960) e Il bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (La Sirène du Mississipi, 1969, François Truffaut). In particolare, impersonando Michel Poiccard, alias László Kovács (non a caso il nome del protagonista in À double tour), nel citato Fino all’ultimo respiro, Belmondo, per il tramite di una recitazione “libera” ed estroversa, impose la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava, per quanto il cineasta tendesse comunque alla loro decostruzione, fedele ad un modo diverso di “fare cinema”, libero da costrizioni, sanamente creativo, circoscritto, sempre e comunque, all’interno di un concreto e compiuto percorso artistico.

(IMDb)

Al cinema Belmondo si dedicò comunque dopo l’attività teatrale conseguente alla frequentazione del Conservatoire national supérieur d’art dramatique di Parigi, dando dimostrazione sul grande schermo di un’estrema versatilità, a suo agio in ruoli drammatici, avventurosi ed anche comici, spaziando quindi dal genere più propriamente autoriale a quello di puro intrattenimento, interpretando gangster o poliziotti caratterizzati entrambi da modi di fare oltremodo sbrigativi, a celare comunque insospettabili e spiazzanti sprazzi d’umanità. Ecco allora nella sua filmografia titoli rientranti nel polar francese come, fra gli altri, Asfalto che scotta (Classe tous risques, 1960, Claude Sautet), Lo spione (Le doulos, 1962, Jean-Pierre Melville), Borsalino (1970, Jacques Deray), dove recitò insieme ad un altro simbolo del cinema d’oltralpe, Alain Delon (anche se la loro “prima volta” risale al 1959, Fatti bella e taci, Sois belle et tais-toi, Marc Allégret ed Henri Verneuil), Il clan dei marsigliesi (La scoumoune, 1972, José Giovanni), accanto ad altri che vedevano Belmondo diretto da registi quali Vittorio De Sica (La ciociara, 1960), il citato Melville (Léon Morin, prêtre, 1961; Léon Morin, prete), Alberto Lattuada (Lettere di una novizia, 1960), Mauro Bolognini (La viaccia, 1961), Sergio Corbucci (Il giorno più corto, 1962), Renato Castellani (Mare matto, 1963), cimentarsi in ruoli diversi dal solito, senza dimenticare Le magnifique (Philippe de Broca, 1973; Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo), dove il nostro giocava con autoironia sul personaggio che aveva costruito negli anni, a sua immagine e somiglianza, fra sfrontatezza ed indomito charme.

(IMDb)

Personaggio che, col passare del tempo, non poteva certo più offrire quelle manifeste doti di atleticità e dinamismo, per quanto la simpatia dell’attore si mantenesse sempre eguale nella sua naturale irriverenza: ecco allora Belmondo a partire dagli anni ’80 dedicarsi principalmente al suo primo amore, il teatro (memorabile l’ interpretazione del nasuto spadaccino nel Cyrano de Bergerac di Edmod Rostand, diretto da Robert Hossein), mentre al cinema le sue qualità andarono a trovare inedita dimensione attoriale in ruoli sempre più diversificati, a riprova di quella duttilità di cui si è scritto nel corso dell’articolo, da Itinéraire d’un enfant gâté (Una vita non basta, 1988), a Jean Valjean in Les misérables (1995) entrambi diretti da Claude Lelouch, fino al ritorno in coppia con Delon in Une chance sur deux (Uno dei due, Patrice Leconte, 1998) e al remake di Umberto D.(De Sica, 1952), Un Homme et Son Chien, 2008, per la regia di Francis Huster. A testimonianza di un apprezzamento internazionale, ancor più che in patria, Belmondo conseguì nel 2010 dal Los Angeles Film Critics Association Awards il Premio alla Carriera, ed eguale riconoscimento gli venne conferito sei anni più tardi alla 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un uomo, un attore, arte e vita riunite in una dimensione unica di spontaneità e professionalità.


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