Siccità

(MyMovies)

Roma, un domani che potrebbe essere oggi. Da ormai tre anni la Capitale sta conoscendo una crisi idrica senza precedenti, l’assenza di pioggia ha prosciugato del tutto il Tevere, portando allo scoperto i resti di antichi monumenti e delle moderne incurie. L’uso d’acqua per i fabbisogni giornalieri è razionato, ne è vietato l’utilizzo per innaffiare le piante o lavare l’automobile e le autobotti passano per i quartieri, ma si avvicina l’ultimo approvvigionamento, così da garantire periodici rifornimenti. Le blatte poi, che brulicano a frotte tra le arterie cittadine e all’interno delle abitazioni, sembra possano essere responsabili di una malattia comportante una letale letargia, la quale sta assumendo proporzioni pandemiche. Sullo sfondo di tale scenario, una varia umanità si agita disperata nel dare seguito all’umana commedia, ciascuno perpetrando, nel bene o nel male, il proprio ruolo, ad esempio il tassista Loris (Valerio Mastandrea), ex autista di un illuminato ministro progressista (Andrea Renzi), Presidente del Consiglio, suicidatosi qualche anno addietro, che gli appare di frequente inframmezzandone i deliri, fra un tiro di cocaina e un cocktail vitaminico, idonei a combattere il sonno incipiente, insieme ai suoi genitori (Gianni Di Gregorio e Paola Tiziana Cruciani), preoccupati per la condizione in cui versa e per la separazione dalla moglie; vi è poi la dottoressa Sara (Claudia Pandolfi), apparentemente fredda e distaccata da qualsivoglia affettività, una figlia, Martina (Emma Fasano), nata dal precedente naufragato matrimonio, musicista, ed un compagno, Luca (Vinicio Marchioni), avvocato, il quale coltiva tramite il ricorso alla messaggistica l’illusione di un amore giovanile.

Valerio Mastandrea (Movieplayer)

Alfredo (Tommaso Ragno), un tempo attore famoso, sta ritrovando l’agognata celebrità, “verso l’infinito e oltre”, riciclandosi come maître à penser sui social, mentre la moglie, Mila (Elena Lietti) si prodiga nel garantire la sussistenza della famiglia, di cui fa anche parte l’adolescente Sebastiano (Emanuele Maria Di Stefano), problematico e indifferente protestatario contro tutto e tutti, lavorando come cassiera, dopo il fallimento della sua libreria; Antonio (Silvio Orlando), detenuto a Rebibbia per omicidio passionale, “domicilio” dal quale non intenderebbe spostarsi, dovrà fare i conti col passato e l’incipiente realtà una volta fuori, accidentalmente, dalle patrie galere; Jacolucci (Max Tortora), in passato titolare di un prestigioso negozio d’abbigliamento, finito sul lastrico vive ora come un barbone, insieme al suo cane. Intanto, mentre la televisione ha provveduto ad invitare in qualità di esperto l’emerito ed austero professore Del Vecchio (Diego Ribon), che presto si farà irretire dalle sirene della facile notorietà e dalle lusinghe di una famosa attrice (Monica Bellucci), una giovane coppia, Giulia (Sara Serraiocco), infermiera, incinta, e Valerio (Gabriel Montesi), prossimo a lavorare come guardia del corpo, cerca di dare un minimo di prospettiva ad un incerto futuro; la benestante Raffaella (Emanuela Fanelli) prova a smarcarsi dai truffaldini affari gestiti dalla propria famiglia, tenutaria di un grande e lussuoso albergo, ricco di piscine e fontane.

Claudia Pandolfi (Movieplayer)

Tutte queste persone ed altre ancora, in seguito ad una serie di accadimenti, riemersi dal passato o in corso di svolgimento, si ritroveranno a dover fare i conti con sé stessi e tra di loro, uniti da una ritrovata speranza o dal compimento di atti non certo edificanti, mentre dal cielo scenderanno le prime gocce di pioggia… Presentato, fuori concorso, alla 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove ha conseguito due riconoscimenti collaterali, il Premio Francesco Pasinetti e il Soundtrack Stars Award, Siccità, diretto da Paolo Virzì, anche autore della sceneggiatura insieme a Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo, può considerarsi, a parere di chi scrive, una realizzazione per certi versi insolita nell’ambito dell’attuale panorama cinematografico italiano, tanto per l’impatto visivo (stupefacente l’aspetto desertico e abbacinante, virato al grigio, conferito alla Capitale dalla fotografia di Luca Bigazzi), quanto per quello contenutistico, “agitando, non mescolando” gli stilemi propri della commedia all’italiana d’antan, mediando, cavalcando il senso del grottesco e visionarietà, fra dramma e amara ironia. Andando indietro nel tempo con la memoria, mi sono sovvenuti in mente, nella considerazione della costruzione complessiva relativa alla visione di una società in preda allo sbando morale, titoli quali Il giudizio universale (Vittorio De Sica, 1961, su sceneggiatura di Cesare Zavattini), L’ingorgo (Luigi Comencini, 1979, liberamente tratto da un racconto di Julio Cortázar del 1966), ma anche, considerando il susseguirsi di più storie, rappresentative di diversi atteggiamenti esistenziali e che troveranno confluenza in una situazione comune, Short Cuts (Robert Altman, 1993, il cui soggetto è tratto da nove racconti e una poesia di Raymond Carver) e Don’t Look Up, 2021. scritto e diretto da Adam McKay, come credo notato da molti.

Elena Lietti (Movieplayer)

Sostenuto da un più che valido montaggio (Jacopo Quadri) nell’intersecarsi delle varie vicende e situazioni che vedono avvicendarsi i tanti personaggi, attraversato da un commento sonoro (Franco Piersanti) mai soverchiante la narrazione (molto bello, verso il finale, il confluire delle note di un concerto di musica classica nel rimarcare il rapido susseguirsi di determinati, drammatici, avvenimenti), Siccità più che mettere in piedi una caratterizzazione distopica o apocalittica tende a dare adito alla visualizzazione di una dolente metafora, in forma di monito, sul destino dell’umanità alla luce del recente incedere pandemico, come ha anche evidenziato lo stesso Virzì nel corso di qualche intervista, e del quale sembra che già non si conservi più ricordo alcuno. L’aridità dell’animo umano va di pari passo con quella conseguente al ridotto ed emergenziale apporto idrico: parole come umanità, condivisione, empatia, appaiono ormai soppiantate da un egoismo gretto e assolutistico, dimentichi nella nostra beata involuzione dell’essere stati accomunati da identica sorte, riavvicinati per un attimo e poi nuovamente distanziati a pericolo trascorso, incuranti di quanto potrebbe ancora seguire, propensi al precipuo mantenimento dello status quo ante, restii a coltivare una concreta speranza che non sia il preservare la propria condizione esistenziale, sostenuti ulteriormente da una imposta e ricercata diseguaglianza in nome del profitto e del progresso fine a se stesso, all’interno di ogni classe sociale.

Silvio Orlando (Movieplayer)

Il lavoro di scrittura, riporto la mia primaria sensazione, non sempre facilita il raggiungimento di una concreta coralità, qualche storia secondaria appare come sospesa o non sufficientemente conclusa, per quanto al riguardo ritengo offra congruo rimedio la felice resa attoriale dell’intero cast, anche se a restarmi impresse sono state in particolare le interpretazioni rese da Claudia Pandolfi, Tommaso Ragno e Valerio Mastandrea, con un plauso rivolto a Silvio Orlando, che rappresenta, poeticamente, un uomo tutto sommato puro nel suo mantenersi distante da certa materialità terrena (a lui è infatti riservata la visione, nel camminare lungo il letto arido e assolato del Tevere, di una coppia in cammino, lei, incinta, in groppa all’asinello di cui lui tiene le redini, probabile simbolo della necessità di ritrovare una primigenia spiritualità), che mi ha ricordato il Salvatore Lojacono interpretato da Antonio De Curtis nel rosselliniano Dov’è la libertà? (1953). Godibile anche l’interpretazione offerta da Ribon del luminare incline a cedere, fra l’altro, al bene effimero della bellezza, citando de Andrè, con la mediazione dell’attrice Valentina, delineata con garbata autoironia da Monica Bellucci. La narrazione inoltre, andando a concludere, ha il pregio di non tracimare mai verso il moralismo spicciolo nell’offrire congrua caratterizzazione, anche psicologica, ai vari personaggi, virando verso un finale che, nonostante l’irrompere di un evento delittuoso, sembrerebbe propendere, con quella pioggia richiamante la provvidenza manzoniana, verso una rinnovata speranza, anche se la mia opinione al riguardo è che sia l’inizio di un nuovo diluvio universale: dopotutto, citando un noto aforisma di Woody Allen, di fronte al bivio che conduce alla disperazione da un lato e all’estinzione totale dall’altro, abbiamo esternato da tempo “la saggezza della scelta”, impegnandoci nel perpetrarla.

(GQItalia)

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