Un ricordo di Helmut Berger

Helmut Berger (Gazzetta.it)

Ci ha lasciati Helmut Berger (Helmut Steinberger all’anagrafe), morto ieri, giovedì 18 maggio, a Salisburgo, sua città natale (1944), attore la cui disarmante bellezza, i tratti del volto morbidi e severi al contempo, lo sguardo magnetico ad alternare dolcezza e brutalità, hanno fatto sì che si trovasse a suo agio nel rendere in scena la naturalezza dei personaggi interpretati, spesso contornati da una marcata ambiguità nell’esprimere la loro personalità, in particolar modo nell’ambito della sfera sessuale, psicologicamente sospesi tra crudeltà e decadenza, angelicità apparente e fare luciferino, sensibilità e cinismo. Dopo gli studi alla Sorbona di Parigi e la frequentazione a Londra della Century Dramatic Art School, Berger, che provvide a mantenersi con una serie di lavori saltuari e l’attività di modello, entrò nel mondo del cinema in qualità di comparsa ed assistente cinematografico, frequentando gli studi di Monaco e Roma, per poi essere notato da Luchino Visconti nel 1964, sul set del film Vaghe stelle dell’Orsa…. Un incontro, quello col regista milanese, destinato a conferirgli la grande notorietà, così come a concretizzarne e valorizzarne le potenzialità recitative, a partire dall’esordio tre anni più tardi ne La strega bruciata viva episodio, diretto appunto da Visconti, del film collettivo Le streghe, che vedeva coinvolti anche Mauro Bolognini (Senso civico), Pier Paolo Pasolini (La terra vista dalla luna), Franco Rossi (La siciliana) e Vittorio De Sica (Una sera come le altre), pur se la prima parte da protagonista Berger l’ebbe nel 1967, ne I giovani tigri di Antonio Leonviola, cui seguì Sai cosa faceva Stalin alle donne?, diretto da Maurizio Liverani, mentre la definitiva affermazione avvenne ancora una volta grazie a Visconti, che gli affidò il ruolo di Martin von Essenbeck in La caduta degli dei, 1969.

(Movieplayer)

Berger andò quindi a delineare la figura di un giovane ignavo, nevrotico e dalla sessualità elusiva, rimarcando una dolente cadenza introspettiva, caratteristica della sua recitazione che si farà ancora più evidente in altri due film diretti da Visconti, Ludwig (1972), dove interpretava il tormentato sovrano di Baviera del titolo, Ludwig II, e Gruppo di famiglia in un interno (1974), nella parte dello sfrontato e cinico Konrad Huebel, come pure nei panni del nobile ebreo Roberto ne Il giardino dei Finzi Contini (Vittorio De Sica, 1970), tratto dall’omonimo romanzo, 1962, di Giorgio Bassani. Tra i titoli degli anni Settanta che videro Berger alle prese con sempre valide interpretazioni si possono ricordare La colonna infame (Nelo Risi, 1973), che prendeva spunto dal saggio di Alessandro Manzoni Storia della colonna infame (1840), Salon Kitty (Tinto Brass, 1975), The Romantic Englishwoman (Joseph Losey, 1976), così come qualche incursione in vari titoli di genere, ad esempio Una farfalla con le ali insanguinate (Duccio Tessari, 1971) o Il grande attacco (Umberto Lenzi, 1978), anche se, in particolare dopo la morte di Visconti nel 1976, che comportò a Berger depressione e dipendenze, con conseguenti soste dall’attività, molte sue interpretazioni apparvero spesso manierate e ripetitive, fino a condurlo verso il piccolo schermo negli anni Ottanta (la terza serie di Dinasty, tra l’altro) e poi ad un progressivo recupero, ritrovando buona ispirazione in film quali The Godfather: Part III (Francis Ford Coppola, 1990) e soprattutto Ludwig 1881 di Fosco e Donatello Dubini, 1993, nuova interpretazione del re di Baviera che ora si ammantava di una crepuscolare malinconia. Fra gli ultimi lavori, Saint Laurent (Bertrand Bonello, 2014), Liberté (Albert Serra, 2019).

 “A parte Helmut Berger, non ci sono donne interessanti oggi” (Billy Wilder, commentando l’indimenticabile resa di Berger nei panni di Marlene Dietrich, in La caduta degli dei. Fonte Variety)


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