E’quindi ora possibile tirare le somme e valutare concretamente l’estrema attualità del discorso storico- artistico -filosofico di Claude, l’alter ego, moderno cantastorie, del professore di Filosofia, nel voler fornire un’inedita visualizzazione del ‘900, sia nella sua portata tragicamente storica (le due Guerre Mondiali, i totalitarismi, la nascita della democrazia, le istanze giovanili, la crisi dei valori) che concretamente sociologica, foriera di cambiamenti per le generazioni che man mano si sono susseguite.
La musica più che stile di vita diviene per Claude una nuova modalità d’ interpretare la vita, spinto com’è tanto dalla passione che dalla volontà di mettere in scena attraverso le canzoni gli anni della propria giovinezza, con le sensazioni e i ricordi visualizzati sul palco a farsi efficaci tavole viventi.
Il tutto nell’essenzialità scenica a lui cara, avvalorata da modalità di ripresa arricchite da un montaggio funzionalmente accurato nel collegare la scaletta alle diverse esibizioni, garantendo un’estrema scorrevolezza all’indagine metodologica che si palesa come un efficace punto d’incontro tra la Storia e la “sua” storia, con il proprio vissuto personale.
Claude diviene “cercatore”, attraverso la storia delle note, di quella verità insita nell’uomo e che si fa tutt’uno con esso: sfrutta capacità affabulatorie e abilità vocale nell’individuare le caratteristiche di ogni canzone, proposta e reinterpretata rispettandone l’ispirazione originaria, dando valenza al testo colto in ogni sua sfumatura quale pista ideale da cui far decollare i propri sentimenti, i propri ricordi, le più intime suggestioni.
Ecco l’Italia della Grande Guerra (Decenni), età storica individuata, da un punto di vista musicale, come periodo in cui le canzoni iniziano a costituire, in una certa qual misura, un repertorio musicale; la matrice folk, piuttosto forte, viene mitigata da quella operistica, più aulica e “alta” e tale miscellanea tra le due contrapposte realtà viene concretizzata dalla canzone napoletana, prima, e da quella romana poi, senza dimenticare le varie tradizioni regionali.
Le cose non cambiano dopo il Ventennio fascista ed il Secondo Conflitto; intorno agli anni ’50 il nostro paese, pur avendo conosciuto, grazie all’intuizione di cantanti quali Natalino Otto, Alberto Rabagliati o il Trio Lescano, fenomeni come il jazz o lo swing, per quanto italianizzati, assiste ad una reazione conservatrice, una sorta di voglia di quiete domestica, ben simboleggiata dalle canzoni del Festival di Sanremo, melodiche, a mezza tinta, improntate ai buoni sentimenti, per quanto qua e là si potesse notare qualche atto di coraggio rappresentato da testi surreali (Papaveri e papere, I pompieri di Viggiù, La casetta in Canadà) o fortemente ironici, come Tu vuò fa’ l’americano di Renato Carosone.
Ma è anche il periodo della musica da night, con cantanti come Peppino di Capri e il suo connubio America- Napoli (Don’t Play That Song), Bruno Martino o Fred Buscaglione, il quale in particolare introduce toni fumettistici, aggressivi e moderni, anticonvenzionali anche nelle classiche canzoni d’amore, come fa notare Claude intonando Guarda che luna, per poi passare all’erotismo soffuso, denso di toni intimistici di Addormentarmi così di Teddy Reno. Il Nostro sottolinea poi, sulle note de La vie en rose (Edith Piaf), l’influenza della canzone francese, dal tono più amaro, dissacrante e caustico, con un modo di cantare e d’imporsi sulla scena, improntato ad una certa teatralità di stampo attoriale, interpretativo del testo, stile che da noi troverà tra i suoi maggiori esponenti Massimo Ranieri, sul finire degli anni ’60 (Rose rosse).
Sono i giovani i primi a percepire i mutamenti di costume (Teen Agers di ieri e di oggi) propri degli anni del Boom economico (Anni ’60), quando vi era la netta sensazione “che le cose andavano bene e sarebbero andate sempre meglio”.
Intorno alla seconda metà degli anni ‘60, i ragazzi iniziano a vedere le loro insoddisfazioni verso un mondo che incomincia ad andar loro stretto, espresse nei testi dei Cantautori, come Fabrizio De Andrè, esponente della “scuola genovese”, con il suo ispirarsi ai cantautori francesi nell’amore manifestato verso il testo, spesso critico, pungente, e il suo farsi cantore degli emarginati, degli offesi dalla vita, di quanti sono vittime delle istituzioni, guardando al passato per metaforizzare il presente (Geordie).
Comunque, tra la sperimentazione propria di alcuni gruppi musicali, come La Premiata Forneria Marconi, Il Banco del Mutuo soccorso, Le Orme (Gioco di bimba) e le provocazioni miste ad un certo vittimismo generazionale (Ma che colpa abbiamo noi de I Rokes), mantengono sempre la loro valenza cantanti come Mina (Se telefonando, E se domani), forte di una notevole estensione vocale, della sua femminilità e di una certa studiata gestualità, che le consentono una carismatica caratterizzazione interpretativa del testo, o come Lucio Battisti, che insieme al paroliere Mogol conferisce un’ulteriore trasformazione alla musica italiana, delineando con una certa aggressività la problematicità e la conflittualità dei rapporti amorosi (Eppur mi son scordato di te).
Negli edonistici anni ’80, il culto per l’immagine impone repentini cambiamenti nel look, al servizio della dimensione scenica e della trasgressione, emergono quindi personaggi come Loredana Bertè, Rettore, e, soprattutto Anna Oxa, un po’ l’emblema di questo velocizzato cambio estetico, dal punk delle origini alla mise estremamente tradizionale, per quanto eccentricamente hollywoodiana (Quando nasce un amore). Si contrappongono a tutto ciò, come alternativa più autentica e sincera, le emozioni intense di un Vasco Rossi alla ricerca di un senso della vita, capace di visualizzare la necessità di un amore concretamente puro (Albachiara), i percorsi esistenziali di Claudio Baglioni (Strada facendo), la voglia di riscatto personale che si fa inno generazionale espressa da Eros Ramazzotti (Terra promessa).
Ok più o meno tutti ma, Umberto Bindi non si discute! R.I.P. 😦
"Mi piace""Mi piace"
Altra classe in effetti, autore ed interprete estremamente raffinato. Personalmente ho una predilezione per “Il nostro concerto”, ma tutte le sue canzoni ritengo abbiano lasciato il segno.
"Mi piace""Mi piace"