C’era una volta Ennio Morricone

Ennio Morricone (Cameralook)

Ci lascia il Maestro Ennio Morricone, morto questa mattina, lunedì 6 luglio, a Roma, sua città natale (1928): con oltre quattrocento colonne sonore originali, composte nell’arco di quasi cinquant’anni d’attività dispiegata per il cinema e la televisione (l’esordio sul grande schermo risale al 1961, Il federale, Luciano Salce), in qualità di arrangiatore, compositore, esecutore e direttore, ha dato prova di una poliedrica inventiva, offrendo spazio ad un linguaggio musicale certo innovativo e comunque sempre coerente e del tutto integrato con l’incedere narrativo, del quale andava a costituire un rilevante complemento, fino a divenire un vero e proprio coprotagonista. Mirabile al riguardo la colonna sonora di Per un pugno di dollari (Sergio Leone, 1964), archetipo dello spaghetti western, dove Morricone (sotto lo pseudonimo di Don Savio), diede vita ad un raffinato amalgama di suoni e rumori (marranzano, chitarra elettrica, voci e l’indimenticabile fischio di Alessandro Alessandroni), mettendo in atto una sorta di rincorsa tra immagine e suono, spesso funzionale alla dilatazione temporale cara al regista romano, col quale diede vita ad una proficua collaborazione (Per qualche dollaro in più, 1965; Il buono, il brutto, il cattivo, 1966; C’era una volta il West, 1968; Giù la testa, 1971; C’era una volta in America, 1984). La sua produzione per il cinema può certo considerarsi un suggestivo e raffinato punto d’incontro tra avanguardia ed afflato popolare, frutto delle molteplici esperienze di Morricone dopo essersi diplomato al  Conservatorio di Santa Cecilia a Roma (dove studiò tromba, composizione, musica corale, strumentazione per banda e direzione di coro), quando, oltre a dare alla luce le sue prime composizioni, suonò in formazioni jazz e svolse attività di arrangiatore di musica leggera e di scena, divenendo anche membro, nel 1965 e fino al 1980, del gruppo di improvvisazione Nuova consonanza (Enciclopedia del Cinema Treccani).

(Gigfound)

Mano a mano che aumentavano le collaborazioni con diversi autori e per i generi più disparati (Marco Bellocchio, I pugni in tasca, 1965; Gillo Pontecorvo, La battaglia di Algeri, 1966; Liliana Cavani, Galileo, 1968 e I cannibali, 1969; Pier Paolo Pasolini, Teorema, 1968 e Il Decameron, 1971; Elio Petri, Un tranquillo posto di campagna, 1968; La classe operaia va in Paradiso, 1971, Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo, 1970, con la straniante cantilena infantile che accompagna l’entrata in scena dell’ “uomo nero”), Morricone giunse ad una diversificazione strutturale delle proprie partiture, arricchendole di melodie e ritmiche sempre più coinvolgenti e suggestive, attraversate da inedite sonorità, collaborando con autori quali, fra gli altri, Paolo e Vittorio Taviani (Allonsanfàn, 1974; Il prato, 1979), Bernardo Bertolucci (Novecento, 1976), Terrence Malick (Days of Heaven, 1978), Roland Joffé (The Mission, 1985) Brian De Palma (The Untouchables, 1987), Roman Polanski (Frantic, 1988), Giuseppe Tornatore (Nuovo cinema Paradiso, 1988; La leggenda del pianista sull’oceano, 1998; Malèna, 2000), Pedro Almodóvar (¡Átame!, 1990),  Roberto Faenza (Sostiene Pereira, 1995), Adrian Lyne (Lolita, 1997). Un elenco dei suoi lavori non certo esaustivo, per un articolo volto semplicemente a ricordare che c’era una volta Ennio Morricone, Maestro talentuoso e duttile, autore di un lessico musicale idoneo a rivestire, ed arricchire, la Settima Arte di quella sostanza propria di cui sono fatti i sogni (Shakespeare, La tempesta), condivisi nella rarefatta atmosfera immaginifica propria della sala cinematografica, quel buio ravvivato da un raggio di luce che materializza sullo schermo un afflato incantato incline a riunire più generazioni, “mentre il tempo passa”.

 

 


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