Il mondo dello spettacolo, da lei attraversato, alternando cinema, musica e televisione, in virtù di una disarmante eleganza, suffragata da un fascino smaccatamente naturale, forte di uno sguardo ed un sorriso entrambi enigmatici ma propensi ad esprimere un alto tasso di seduzione nel dare adito ad una concreta femminilità, dà il suo addio a Catherine Spaak, morta ieri, domenica 17 aprile, a Roma. Nata a Boulogne-Billancourt (Île-de-France) nel 1945, papà, Charles, sceneggiatore e mamma, Claudie Clèves, attrice, Catherine Spaak, dopo il cortometraggio L’hiver ( Jacques Guatier, 1959), debuttò ufficialmente sul grande schermo l’anno seguente, una piccola parte ne Le trou (Jacques Becker), conseguendo la grande popolarità subito dopo grazie ad Alberto Lattuada, che la volle protagonista di I dolci inganni, rendendola icona adolescenziale per le ragazzine dell’epoca, che ne imitarono la pettinatura e il trucco, oltre a fornire un prototipo, segno dei tempi in continua evoluzione fra boom economico e voglia di smarcarsi dal modello genitoriale quale esempio da seguire, della ragazzina spregiudicata, cartina di tornasole nello svelare determinate contraddizioni e “sbalzi umorali” del maschio italico, che da lì in poi andò a svilupparsi, con significative varianti sul tema, in pellicole quali Il carro armato dell’8 settembre (Gianni Puccini, 1960) e soprattutto La voglia matta (Luciano Salce, 1962), Il sorpasso (Dino Risi, 1962) e La noia (Damiano Damiani,1963), adattamento dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, film quest’ultimo di cui resta indelebile il ricordo della sequenza in cui il corpo dell’attrice, nei panni della modella Cecilia, viene ricoperto di banconote dall’ignavo e agiato pittore dilettante Dino (Horst Buchholz).
Con La parmigiana, 1963, diretto da Antonio Pietrangeli, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Bruna Piatti, la Spaak nell’interpretare la sentimentalmente irrequieta Dora e il suo percorso ad ostacoli fra emancipazione e sofferta autodeterminazione, diede prova di grande maturità professionale, dimostrando con sagacia di sapersi distanziare, in chiave concretamente evolutiva, dai ruoli ormai consueti. Eccola quindi divenire presenza di spicco della commedia all’italiana in quella stagione in cui, dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi, riuscì, alternando amara ironia ed acre sarcasmo, ad evidenziare mutamenti di costume nell’incedere del “logorio della vita moderna”, citando come esempio Break-Up – L’uomo dei cinque palloni (realizzato da Marco Ferreri nel 1968, dopo aver subito i tagli imposti dal produttore Carlo Ponti per inserirlo quale episodio del film collettivo Oggi, domani e dopodomani, 1965) o Adulterio all’italiana (Pasquale Festa Campanile, 1966, teatro di uno splendido duo con Nino Manfredi, lei consorte spigliata ed acuta, lui marito fedifrago impacciato e vittima inconsapevole di un sottile ordito opera della moglie), oppure a dar vita a squarci di genialità prorompente e forza diversiva (L’armata Brancaleone, Mario Monicelli, 1966). Dagli anni Settanta e fino alla metà degli Ottanta, quando decise di ritirarsi dalle scene, l’attrice rese poi ulteriore testimonianza di una grande duttilità, attraversando i vari generi, sempre con eleganza, alternata ora ad una matura determinazione, declinata con perspicacia ed oculatezza nel definire le sue caratteristiche di donna, ancor prima che di attrice.
Dalla commedia “pura”, volta a recuperare quella coralità e veracità popolare ormai sacrificata sull’altare di toni sempre più aspri, alla luce dei profondi mutamenti sociali (Febbre da cavallo, Steno, 1976), al thriller (Il gatto a nove code, Dario Argento, 1971), senza dimenticare il drammatico, per esempio Cari genitori (Enrico Maria Salerno, 1973), visualizzante, pur con toni a tratti scomposti, inclini al sentimentale, la frantumazione del “buon nido borghese”, o l’intenso, nell’alternanza narrativa di eventi storici ed attualità, Claretta (Pasquale Squitieri, 1984), “saltando” fra i tanti titoli della vasta filmografia, rammentando poi il ruolo di Laura nel primo film diretto, oltre che ultimo interpretato, da Monica Vitti, Scandalo segreto. Da ricordare infine una breve ma interessante attività teatrale (Cyrano, Riccardo Pazzaglia e Domenico Modugno, 1978, nella parte di Rossana, fra l’altro), anche come autrice (Storie parallele, 2006-2007; Racconti dal faro, 2013), l’interpretazione di canzoni ormai simbolo di un’epoca, quali Quelli della mia età (versione italiana del brano scritto e cantato da Françoise Hardy nel 1962, Tous les garçons et les filles, realizzata dalla stessa artista, con i testi di Vito Pallavicini) o L’esercito del surf (Mogol-Pattacini, 1964) e certamente i lavori televisivi, più che in qualità di interprete in film tv, miniserie e fiction, nella veste di raffinata, suadente, ironica conduttrice (Harem, talk-show andato in onda su Rai 3 dal 1988 al 2002): l’eleganza, citando lo scrittore e saggista francese Pascal Bruckner, non è altro che raggiungere il massimo d’intensità col il minimo d’effetto. Grazie, Catherine.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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